In viaggio a tempo indeterminato/327: riservatezza vs nudità

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Uno degli aspetti del Giappone che mi ha sempre mandato in pappa il cervello è la dicotomia riservatezza vs nudità.
La spiego meglio perché a rileggerla suona strana anche a me.
Il Giappone è quel Paese dove il signore con in mano la bandierina rossa per regolare il traffico durante i lavori stradali, ti fa un inchino quando ti fermi e aspetti il tuo turno per passare.
È il Paese dove, se ti avvicini troppo a una persona o se inavvertitamente le tagli la strada a piedi, lei piega le ginocchia per abbassarsi quasi si volesse scusare.
È il Paese dove la gente sembra sempre riservata, parla a bassa voce e sorride.
Poi però si entra in un sento o in un onsen, i bagni pubblici con vasche di acqua calda, e si sta tutti nudi allegramente.
Questa cosa mi ha sempre stupito.
È come se tra i vapori e le bolle dell'idromassaggio, pudore e riservatezza sparissero improvvisamente.
Nudità condivisa, si chiama così il principio alla base dell'usanza di non indossare un costume quando si va alle "terme".
Devo ammettere che la prima volta per me è stata bizzarra. Entri nello spogliatoio delle donne e ti togli tutto, proprio come se fossi in una piscina qualunque, con la differenza che una volta tolta la biancheria non hai un costume a coprire "le vergogne", come chiamava mia nonna le parti intime.
E così come mamma ti ha fatto, ti armi di sapone e shampoo, attraversi lo spogliatoio ed entri nella stanza con le vasche d'acqua.
Lì ti aspettano una serie di sgabellini bassi posizionati davanti a dei rubinetti muniti di doccino.
Il galateo dei bagni pubblici giapponesi prevede che ci si lavi per bene seduti su quegli sgabelli prima di immergersi nelle vasche.
E quindi via, ti insaponi e ti sciacqui come mai prima d'ora mentre osservi le altre signore strofinarsi come se non ci fosse un domani.
È un processo lungo quello della doccia da seduti ma è anche estremamente comodo e rilassante. Tra l'altro mentre ti lavi davanti a te hai uno specchio che, per qualche insolita ragione, rende il processo ancora più rilassante.
Dopo la fase di lavaggio intenso arriva il momento del relax e ci si può godere l'acqua bollente delle vasche. Nel caso degli onsen è la natura stessa ad averla riscaldata, nei sento invece ci ha pensato l'uomo.
E mentre sei in ammollo e lasci andare tutte le tensioni, ti rendi conto che fare il bagno in Giappone è un'esperienza mistica.
Non serve solo a lavarsi ma è il modo in cui il corpo e lo spirito vengono purificati dallo stress quotidiano.

Come ogni tradizione che si rispetti, anche dietro all'utilizzo dei bagni pubblici, ci sono anni e anni di storia. I primi sento/onsen risalirebbero addirittura al 700.
In quel periodo però erano inseriti all'interno dei templi e utilizzati soprattutto dai religiosi che solo in rare occasioni permettevano ai poveri e ai bisognosi di accedervi per fare quello che era chiamato "il bagno della benevolenza".
Non si sa bene quando poi divennero popolari tra tutta la popolazione ma probabilmente il loro grande successo è legato alla figura delle yuna le "donne dell'acqua calda".
Erano delle inservienti addette principalmente alla pulizia della schiena dei clienti, che però si occupavano anche del loro intrattenimento suonando musica, danzando e, a volte, fornendo prestazioni sessuali. Relax a 360 gradi insomma!
Per arginare la diffusione della prostituzione all'interno dei bagni pubblici, nel corso degli anni vennero introdotte diverse regole e alla fine le yuna sparirono. Ma degli inservienti erano comunque necessari, quindi dalle yuna si passò ai sansuke ( letteralmente "tre aiuti"), Aiutanti, stavolta di sesso maschile, che si occupavano principalmente del lavaggio dei capelli e per questo divennero presto molto popolari soprattutto  tra le donne. E alla fine non si sa bene se anche loro fossero soliti fornire servizi extra (alias prostituirsi).
Tra l'altro, fino al 17 secolo i bagni pubblici erano utilizzati contemporaneamente da uomini e donne causando spesso problemi di ordine pubblico.
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Nel corso della storia il numero dei sento è aumentato o diminuito a seconda degli eventi.
Durante la seconda guerra mondiale, ad esempio, molti bagni pubblici vennero distrutti dai bombardamenti e gli addetti richiamati al fronte. Il numero quindi caló drasticamente dato che tra allarmi e sirene quasi nessuno riusciva a starsene tranquillamente a mollo.
Nel periodo post bellico, però, la tendenza si invertì, più per necessità che per altro.
Con la maggior parte delle case distrutte, solo poche persone avevano accesso a un bagno privato, quindi i sento tornarono ad essere un punto di riferimento per l'igiene personale.
Oggi quasi tutti hanno un bagno a casa e quindi il numero dei sento è in costante calo nonostante i tentativi di mantenere viva la tradizione.
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Ma torniamo al concetto di "nudità condivisa" di cui parlavo all'inizio. 
In passato fare un bagno nudi in compagnia era considerato un modo per dimostrare di non avere niente da nascondere, e allo stesso tempo rivelare il proprio autentico essere davanti agli altri. In epoche in cui le differenze tra classi sociali erano molto elevate, spogliarsi dei propri abiti e dei propri "segni distintivi" voleva dire mettersi tutti sullo stesso piano.
Oggi il concetto, soprattutto tra i giovani, è decisamente cambiato ma i sento restano ancora uno spazio dove oltre a rilassarsi si costruiscono relazioni che vanno oltre le apparenze.
Ad esempio non è raro che i meeting aziendali vengano organizzati all'interno dei bagni pubblici, e che i dipendenti più giovani lavino la schiena ai propri superiori per consolidare un legame di fiducia e rispetto.
Lo so, suona tutto piuttosto bizzarro e pensare di andare a insaponare la schiena del proprio capo/a farà storcere il naso a molti. In Giappone però non è così e c'è un forte rispetto per queste tradizioni.
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Prima di chiudere questo approfondimento su un'usanza tanto popolare in Giappone, devo confessare che una volta superato il primo lieve imbarazzo si apprezza davvero l'esperienza.
E le signore che ho trovato nei bagni pubblici mi hanno osservato curiose ma sorriso dolcemente, ricordandomi che siamo tutti diversi l'uno dall'altro e quindi alla fine siamo tutti uguali.
Angela (e Paolo)
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