SCAFFALE LECCHESE/254: le sorelle Cittadini raccontate da Sara Regina

Il calendario liturgico prevede per il 5 maggio la “memoria” di Caterina Cittadini, beatificata da papa Giovanni Paolo II il 29 aprile 2001. E’ una storia che si compie a Somasca, la frazione di Vercurago conosciuta per san Girolamo Emiliani. E, in qualche modo, un legame tra il santo e la beata ci sarebbe, per quanto abbiano vissuto in secoli differenti, a cavallo tra XV e XVI secolo l’uno, nella prima metà del XIX l’altra. E dunque a circa trecento anni di distanza. Però, nell’infanzia di Caterina e della sorella Giuditta che morirà troppo presto guadagnarsi la stessa devozione dei posteri, la figura e il culto di san Girolamo ebbero un loro posto.
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La copertina del libro

Così ci dice Sara Regina, giornalista milanese, autrice di “Maternità educativa. Una biografia di Caterina e Giuditta Cittadini” pubblicato dalle Edizioni San Paolo nell’anno 2000 e cioè nei mesi in cui si preparava la beatificazione di Caterina. Ed è la biografia alla quale facciamo riferimento in queste righe. Il libro non sfugge all’apologetica, il racconto è avvolto in un’atmosfera mistica e Regina introduce ogni capitolo con brani di fantasia. Per esempio, proprio a proposito di san Girolamo, si immagina le due sorelline ad ascoltare un sacerdote, don Giuseppe Brena, mentre racconta le gesta del santo: « “Girolamo scoprì la sua vocazione: diventare il padre degli orfani”, spiega don Brena. (…) Lo scenario della storia diventa familiare alle piccole ascoltatrici: dunque Girolamno è stato qui, nella loro città, e nella contrada di San Giovanni ha fondato una Casa per le orfane. (…) E’ bellissimo per le bambine scoprire di essere in un certo senso “figlie privilegiate” di questo grande padre degli orfani».
Tutto ciò, comunque, nulla toglie a una ricostruzione accurata e soprattutto documentata della vita delle due sorelle e della loro “opera” a Somasca.
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Il Conventino

Caterina nacque il 28 settembre 1801, Giuditta il 19 luglio 1803. Le vicende e i tracolli famigliari sono per gran parte avvolti nell’onra. Quel che si sa è che nel 1808 le due bambine vennero accolte nel “Conventino” di Bergamo dove avrebbero trascorso l’infanzia e la giovinezza. L’affrancamento avvenne nel 1823: il Comune di Vercurago era alla ricerca di una nuova maestra per la scuola femminile che avrebbe avuto sede a Somasca. Il richiamo del destino, si direbbe. Più prosaicamente, a Calolzio abitavano alcuni cugini delle due sorelle, due sono preti: don Antonio Cittadini e don Giuseppe Cittadiini. E visto che il mondo è piccolo, loro guida spirituale era don Serafino Morazzone (1747-1822), il buon curato di Chiuso di manzoniana memoria.
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Il diploma di maestra

Caterina presentava dunque la propria candidatura e otteneva il posto, si trasferiva a Somasca e all’apertura dell’anno scolastico, il 1° novembre 1823, cominciò a insegnare. Con lei c’era anche Giuditta. Che poteva dare anche una mano in classe. Allora andava così.
«Secondo i programmi – scrive Regina - per prima cosa a scuola si insegnava a leggere. Bisogna tener presente che i ragazzi di allora non avevano nessuna familiarità con la parola scritta (…) e l’Italiano era una lingua straniera. Il dialetto bergamasco, poi, è particolarmente ostico: per le allieve di Caterina e Giuditta, imparare a esprimersi a voce in modo corretto era già una conquista. Il metodo che i maestri dovevano seguire era molto rigido. (…) Il lavoro di Caterina si svolgeva dunque secondo uno schema ben definito e veniva periodicamente controllato. Possiamo ricostruire abbastanza facilmente i contenuti delle lezioni scolastiche tenute dalle Cittadini, contenuti che erano uguali in tutte le scuole, ma il loro insegnamento aveva un qualcosa in più, un “ingrediente segreto” che rese ben presto la scuola femminile di Somasca era nota in tutto il territorio».
La scuola pubblica è il primo nucleo sul quale si svilupperà il “progetto” delle sorelle Cittadini, all’inizio forse nemmeno immaginato e che avrebbe preso consistenza nel corso del tempo. Già nel 1826, con l’aiuto di un fratello, comprarono casa a Somasca e la loro casa divenne sede della scuola (lo stipendio di Caterina, veniva così integrato dall’affitto che il Comune pagava per l’uso delle aule). Da subito, la casa cominciò a ospitare alcune allieve che arrivavano da più lontano, erano le prime “pensioniste”, principio di un futuro collegio. Una decina di anni dopo, sarebbero state già 14. 
Intanto, maturava l’idea di un vero e proprio ordine religioso: ««Non era solo alle allieve che Caterina e Giuditta pensavano, mentre lavoravano per sistemare la loro casa: pensavano anche alle loro future compagne, alla creazione di un istituto religioso dove avrebbero potuto vivere in pienezza la loro vocazione».
Si fecero consigliare da don Giuseppe Brena che era il priore del conventino dove erano cresciute. A lui «avevano manifestato il desiderio di entrare in una comunità religiosa. La risposta profetica che ricevettero da don Brena rimase scolpita nella memoria di Caterina e Giuditta e fu da loro trasmessa alle prime compagne: “Non è volontà del Signore che voi effettuiate una tale risoluzione. In Somasca dovete far permanenza. Egli, onnipotente com’è, penserà a voi, compirà i vostri desideri col fondare una religione della Valle San Martino, sulla ridente collina di Somasca, ove riposano le ossa di san Girolamo Miani, poco lungi dalla stanza in cui rendè lo spirito a Dio. Voi ne sarete le pietre fondamentali”. (…) La profezia risale probabilmente al 1826, l’anno dell’acquisto della prima casa a Somasca. (…) Era lì, nella Valle di San Martino, che c’era bisogno di loro; lì si era manifestata l’“urgenza” alla quale le sorelle erano chiamate a rispondere. Don Brena lo capì, le scoprì “fondatrici”. Davvero la sua intuizione ebbe qualcosa di profetico: Caterina aveva 25 anni, Giuditta 23, ed erano due orfane che vivevano del loro lavoro»
Nel 1831, accanto a quella pubblica, le sorelle avviarono anche una scuola privata rivolta ai ceti più benestanti e della quale si occupava Giuditta: «Con il medesimo spirito la prima insegnava nella scuola elementare (che del resto si teneva in casa sua) e la seconda seguiva la scuola privata. Al di là delle distinzioni burocratiche, uno solo era lo “spirito Cittadini”, che mirava alla formazione globale delle giovinette: “render le fanciulle idonee a sé stesse, alle famiglie proprie e alla società”».
Il grande sogno delle sorelle era quello di poter estendere un giorno questa possibilità a tutte le ragazze della valle, anche alle orfane prive di mezzi, come erano state loro nell’infanzia»
Fu nel 1836 che venne aperto ufficialmente il convitto che, come visto, funzionava in maniera ufficiosa già dal 1829. E nel 1839, cominciò a formarsi anche una piccola comunità di maestre: insegnanti che chiedevano di poter essere ospitate a Somasca. Sopra Vercurago, dunque, stava nascendo qualcosa. Che a un certo punto sembrò dovesse invece crollare su se stesso.
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Ex voto a San Girolamo per la guarigione di Caterina Cittadini

Nel 1840, colpita da un’infezione interna, moriva Giuditta all’età di 37 anni. Quattro anni prima era morto il cugino don Giovani, l’anno dopo invece don Antonio. E moriva anche don Brena che aveva continuato a essere un punto di riferimento per le due sorelle e la loro piccola “comunità”. L’avvocato che curò le pratiche di successione considerò come Caterina stesse perdendo tutti gli appoggi, tutti i conforti». Nel 1842, lei stessa cadde malata e si temette il peggio, al punto che la guarigione viene da qualcuno guardata come un miracolo. Così, nel 1844 poté prendere forma la congregazione religiosa che era appunto La comunità di maestre. Nel 1845, infine, Caterina si ritira dall’insegnamento pubblico per dedicarsi esclusivamente alla propria “casa” e proprio nel novembre di quell’anno entrò nel convitto Angelica Lavelli, la prima orfana accolta gratuitamente in casa Cittadini. Altre due orfanelle si aggiungeranno due anni dopo.
Nel 1857, la casa di Somasca era una vera e propria istituzione, ma andava in qualche modo ufficializzata. Caterina Cittadini chiese al vescovo di Bergamo l’autorizzazione a fondare un nuovo ordine monacale, il cui regolamento era ispirato a quelle delle Orsoline. La richiesta venne respinta, sembra anche in maniera un po’ brusca. Gli appunti ufficiali furono sulla Regola, ma le preoccupazioni maggiori erano sulla solidità finanziaria dell’istituto.
L’autorizzazione sarebbe poi arrivata nel dicembre 1857, ma Caterina Cittadini non c’era più: era infatti morta il 5 maggio di quello stesso anno: «Da molto tempo sofferente di salute, si mise a letto per non alzarsi più. E questa volta non volle che le sue compagne pregassero per la sua guarigione: sentiva la chiamata del Signore, sapeva che il suo progetto su di lei era compiuto. (…) Le compagne di Caterina ormai si rendevano conto di avere accanto una santa, e tesoreggiavano gelosamente ogni sua parola, ogni suo gesto. (…) La Regola, frutto dell’esperienza di una vita e oggetto principale degli ultimi anni: l’umiltà, cardine di un’intera esistenza; la fede in Dio, alla base di tutto. Era il 5 maggio 1857; Caterina non aveva ancora 56 anni».
Il racconto di Sara Regina qui si ferma sostanzialmente qui, racchiudendo in una scarna cronologia gli avvenimenti successivi alla morte di Caterina Cittadina: da un lato il consolidamento, la crescita e la diffusione nel mondo dell’Istituto delle suore orsoline di Somasca e dall’altro il processo di beatificazione. Che si concluderà il 29 aprile 2001 con la proclamazione da parte di papa Giovanni Paolo II e che il libro non può raccontare essendo uscito, come detto, nei mesi precedenti proprio per accompagnare gli ultimi passi di quel processo.
Dario Cercek
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