Galbiate: quando l’infanzia si riflette in uno schermo, le nuove sfide

Quando le esperienze nel mondo di vita dei più piccoli si fanno meno reali, meno corporee, sempre meno sensoriali, ma sempre più mediate da uno schermo, cosa accade? “Guardando ai giovani di oggi troviamo un sé adolescenziale molto fragile, che avrebbe tutta una muscolatura per correre nel mondo, ma resta fermo negli spogliatoi”.
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I due relatori

A spiegarlo, senza tecno pessimismo, ma con una valutazione attenta dei rischi, la dott.ssa Elisa Lazzaroni, psicologa e psicoterapeuta, affiancata dal dottor Mattia Bava, medico psichiatra dell’ospedale Manzoni di Lecco, entrambi relatori di un incontro promosso dai docenti dell’Istituto Comprensivo di Galbiate in collaborazione con l’Amministrazione comunale. L’appuntamento, svoltosi ieri presso l’auditorium Golfari, dal titolo “Bambini e tecnologie digitali: indaghiamo l’impatto dei digital media sullo sviluppo psico-fisico del giovane”, è stato rivolto ai genitori, seguendo una programmazione già avviata nelle classi — dalla prima alla quinta — per accompagnare i più piccoli verso un utilizzo più consapevole dei dispositivi.
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La dott.ssa Elisa Lazzaroni

“Durante la prima infanzia, la mente del bambino è assorbente — ha spiegato Lazzaroni — impara in modo implicito e profondo, attraverso ciò che vive, che tocca, che sperimenta in relazione con l’altro. È la relazione, è il contesto a dare significato all’esperienza. Cresce in modo relazionale, interpersonale, concreto e sensoriale”. Nei primi anni di vita, la plasticità neuronale è al massimo grado: le esperienze dirette con il mondo circostante, con gli adulti, con i pari, costruiscono il sé, la percezione della propria efficacia, l’autostima, la fiducia. 
La tecnologia, se non gestita con attenzione, rischia di interferire con questo processo. “I ragazzi manifestano crescenti difficoltà sul piano emotivo e relazionale: fatica a riconoscere le emozioni, a gestirle, a comunicare in modo efficace, a sviluppare empatia. La correlazione con l’uso precoce e intensivo dei dispositivi è evidente”. Numerosi studi, ha illustrato la psicoterapeuta, mostrano come l’uso prolungato degli schermi sia associato a difficoltà interpersonali, maggiore ansia, maggiore aggressività, calo nella capacità di autoregolarsi emotivamente e nei comportamenti.
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Il dottor Mattia Bava

Il dottor Bava ha poi rafforzato il quadro, mettendo in luce i rischi — numerosi, spesso sottovalutati — che l’impatto delle tecnologie digitali può avere sulla salute fisica e mentale dei più giovani.
È ormai molto comune che i genitori consegnino ai figli uno smartphone pensando di offrire loro uno strumento utile per apprendere e accedere a contenuti che possano stimolarli. “Ma la realtà - ha spiegato Bava - racconta tutt’altro: quei dispositivi, più che arricchire, finiscono per funzionare da regolatori emotivi, usati per calmare, distrarre, contenere. A tavola, in macchina, prima di dormire”.
E le conseguenze si fanno sentire: si evidenzia una riduzione della durata e qualità del sonno, l’alterazione del ritmo sonno-veglia, un drastico calo del tempo dedicato ad attività motorie e ricreative, cambiamenti posturali dovuti all’uso prolungato degli schermi. “Tutto questo mentre il cervello è inondato da stimoli che attivano il circuito della dopamina — la stessa molecola coinvolta nei meccanismi di ricompensa e dipendenza — riducendo l’interesse per ogni altra esperienza e alterando il senso della realtà” ha spiegato. Seguono una preoccupazione crescente per il gioco, malessere se non si accede al dispositivo, tolleranza crescente del dispositivo che porta a un suo utilizzo sempre più massiccio e incontrollato. E non si tratta più solo di un disagio passeggero. La psichiatria ha già codificato sindromi specifiche: “oltre alle più comuni che conosciamo, tra cui la depressione, l’hikikomori — termine giapponese che significa “ritiro” — descrive adolescenti (e talvolta bambini) che, in seguito a fragilità emotive, si rifugiano totalmente nel mondo digitale, ritirandosi da quello reale”. 
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Nel frattempo, il contesto sociale continua a proporre modelli fortemente competitivi, che spesso finiscono per generare insicurezze, senso di inadeguatezza e frustrazione nei più giovani. Queste dinamiche possono contribuire a un diffuso malessere emotivo, che si esprime in forme diverse: dall’aumento dei livelli di ansia e tristezza, al ritiro sociale, passando per una maggiore difficoltà nel gestire le emozioni, nel mantenere l’attenzione o nel riconoscere le emozioni altrui. Anche alcuni disturbi alimentari sembrano oggi sempre più legati a un’esposizione costante a immagini idealizzate del corpo, veicolate proprio attraverso i dispositivi digitali.
“Due sono i fattori critici da monitorare - hanno sottolineato i professionisti - la precocità dell’esposizione e l’intensità dell’utilizzo. Il fenomeno non riguarda più solo gli adolescenti, ma sta scendendo pericolosamente d’età. Si parla oggi di bambini di pochi mesi esposti a schermi: video come ninna nanna, cartoni durante i pasti per distrarli, immagini colorate per bloccare un pianto. Ma tutto ciò ha un costo: sovrastimolati, i bambini diventano sempre meno capaci di sostenere l’attenzione, sempre meno disposti ad accettare la noia, a gestire le emozioni, a costruire legami. E intanto, si perdono occasioni preziose di lettura, musica, gioco simbolico, gioco condiviso con l’adulto, dialogo” hanno concluso. Il contenuto va dunque scelto dall’adulto con cura, la distanza dallo schermo regolata e i tempi di esposizione vanno definiti in modo chiaro.
Tanti sono stati gli interrogativi sollevati dai genitori, e per questo che si è lanciata l’idea di un patto digitale tra famiglie: per stabilire insieme regole condivise su tempi e modalità di utilizzo dei dispositivi in modo da prevenire diseguaglianze e pressioni nei gruppi. 
“Siamo una comunità educante, vogliamo esserlo davvero – ha detto in chiusura la docente Sabrina Colombi, tra le promotrici dell’incontro – solo insieme, scuola e famiglie, possiamo dare risposte coerenti e condivise. E magari, ritrovarci ancora per costruire un percorso comune”.
Sara Ardagna
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