SCAFFALE LECCHESE/260: Una biografia di Lorenzo Balicco. Nel mito del Risorgimento
Nel pantheon risorgimentale della città di Lecco c’è anche il bersagliere Lorenzo Balicco. Gli è intitolata la strada che si affaccia sui binari della stazione ferroviaria, da mesi alla ribalta delle cronache per via della polemica sul nuovo terminal degli autobus. L’intitolazione a Balicco di quella strada, peraltro, non fu certo casuale: proprio su quella via ancora esiste la casa in cui l’eroe visse durante suoi ultimi anni lecchesi.
Di Lorenzo Balicco esiste una biografia firmata da Pino Tocchetti, giornalista lecchese che abbiamo già avuto modo di incrociare in compagnia dell’architetto Mario Cereghini per un libro sulle vecchie stampe lecchesi.
La biografia uscì nel 1936, in occasione del centenario di fondazione del corpo dei bersaglieri. L’occasione era data dalla scopertura della lapide dedicata all’eroe all’esterno della sua casa di Castello. A promuoverne la pubblicazione fu proprio la sezione lecchese dei fanti piumati allora intitolata a Benito Mussolini, capo del governo e del Fascismo. Tuttavia, il clima politico dell’epoca e l’ampollosità fascista non trovano spazio in quelle pagine. Neppure l’avvocato Giulio Orlandoni, figura di punta del “bersaglierismo” comasco, nell’introduzione pur indirizzata a un “camerata lettore” non si lascia prendere troppo la mano. Ad altre pubblicazioni di quei tempi, Tocchetti aveva riservato retorica e linguaggio propri del Fascismo, ma ne parleremo in altra occasione.
Lorenzo Balicco era nato il 23 gennaio 1823 nella parte alta di Bergamo. Tocchetti dice che poco si sa della giovinezza: che interruppe gli studi per fare il libraio, per esempio. Ma non si sa nemmeno se partecipò all’insurrezione di Bergamo del 18 marzo 1848. Però «fece parte della colonna di quel primo battaglione di bersaglieri lombardi che, formatosi il 23 marzo del ’48 (…) invase il Trentino», ma soprattutto, aggregandosi a Luciano Manara, partecipò all’esperienza della Repubblica Romana, ottenendo dal proprio capitano Giacomo Medici un attestato che lo poneva «tra i più costanti e valorosi difensori della posizione del Vascello».
Il Vascello – con Villa Spada l’ultima roccaforte repubblicana contro i francesi intervenuti a difesa dello Stato pontificio – era una villa dalla storia affascinante che la scrittrice Melania Mazzucco ci ha raccontato qualche anno fa in un romanzo magistrale (“L’architettrice”, Einaudi, 2021).
Prima di abbandonare la posizione ormai indifendibile – ci racconta Tocchetti -, «Lorenzo Balicco, con un pugno di audaci, sfidando la sorda ira nemica, scendeva nei sotterranei del Vascello, ridotto un cumulo di fumanti rovine, a riprendere “un cencio di bandiera” perché nulla rimanesse nelle mani dei francesi, cui la vittoria era stata contesa, pietra su pietra, disperatamente». Era il 22 giugno 1848. Il 30 giugno, come si ricorderà, a Villa Spada sarebbe stato ucciso Manara.
Per una curiosa coincidenza, una delle immagini iconiche del “Vascello” distrutto porta la firma di un probabile lecchese, Stefano Lecchi. Lo ritiene lecchese Luigi Erba (in un articolo del 1993 su “Museo vivo”, la rivista degli Amici dei musei lecchesi), secondo altre fonti sarebbe milanese con molte incertezze sulla data di nascita ma anche su quella di morte, mentre il Dizionario biografico della Treccani ci dice solamente che è nato nel 1804 «in un centro lombardo minore tra Milano e Lecco» e morto tra il 1859 e il 1863 probabilmente a Roma dove ormai si era trasferito. E comunque quelle scattate nel corso della tra repubblicani e francesi «sono oggi da considerare le prime fotografie in assoluto di un evento bellico».
Finita l’esperienza della Repubblica Romana, Balicco tornò in Lombardia. E nel 1949 i trasferì a Lecco dove aprì una fabbrica di birra e una distilleria di grappa. Non ci viene detto per quale motivo scelse la nostra città. Forse per amore? Sappiamo solo che nel 1852 diventa papà di una bambina, Nina. La quale nel 1875 avrebbe sposato l’industriale Romulado Borletti, matrimonio dal quale sarebbe nato quel Senatore Borletti, «gloria purissima dell’industria nazionale italiana», tra l’altro fondatore del grande mazzino milanese che, su consiglio di Gabriele d’Annunzio, battezzò “La Rinascente”.
Da parte sua, Lorenzo Balicco «non abbandonò più la sua città d’elezione- continua Tocchetti -. Ad essa si affezionò e ne divenne, anzi, una delle figure più tipiche e rappresentative, ancora oggi viva nel cuore del popolo». Nel 1862 lasciò birra e grappe per dedicarsi al commercio della barite «di cui si iniziavano allora le prime utilizzazioni nel campo industriale». Basti ricordare che fu proprio verso la metà dell’Ottocento che si cominciò a scavare la barite nelle miniere valsassinesi, tra cui in quella di Primaluna oggi diventata attrazione turistica.
L’attività imprenditoriale non gli fece trascurare l’impegno politico e sociale. Fu tra i promotori della prima Società di mutuo soccorso a Lecco: «Il caso volle – scrive Tocchetti – che una domenica d’aprile dell’anno 1862 egli s’incontrasse con un gruppo di operai nel cortiletto breve d’un vecchio ritrovo di Belledo» e «lanciò la sua idea a lungo nutrita. La sua facile dialettica, la sua logica convincente e serrata ebbero il loro effetto straordinario, l’adesione sboccò spontanea e totalitaria». In breve tempo vennero raccolte trecento adesioni e il 6 luglio si svolse la prima adunanza della società alla cui presidenza venne eletto l’industriale Giuseppe Badoni con Balicco vice.
«L’attività di Balicco fu veramente instancabile. (…) Si prodigò per la prosperità e gli sviluppi della nuova istituzione che dal 1864 ebbe la sua degna sede in Contrada Larga. (…) Nel 1865 Balicco assumeva la carica di presidente, carica che egli mantenne attivamente fino al 1889. (…) La Società di Mutuo Soccorso lecchese divenne in brevissimo tempo una delle più efficienti tra quelle che allora esistevano nella regione lombarda».
Nel contempo si spese per la promozione di scuole serali, assieme ad altri personaggi lecchesi pressoché dimenticati (Luigi Vicini e Pasquale Carretto), aderendo alla Società nazionale per l’istruzione popolare che andava prendendo forma in Italia proprio in quegli anni: «Elevare gli umili e soccorrerli, difenderli e proteggerli: questa fu la sua bandiera che egli agitò sempre, alta nel sole. Ed è in questa nobiltà di ideali la ragione vera e profondamente umana che lo aveva fatto promotore, con Giuseppe Badoni, altra anima generosa al pari di lui, di due istituzioni che, più di ogni altra, “valessero a migliorare le condizioni economica, morale e anche fisica di chi dal lavoro ritrae i mezzi di vita a sé e alle proprie famiglia”, l’attuazione cioè di una Cooperativa di consumazione e d’una Banca popolare di prestito sul modello delle Banche del popolo create in Germania». Quelli erano i tempi, ne abbiamo parlato anche a proposito del meratese Viganò.
Nel 1880, Balicco entrò anche a far parte dell’amministrazione comunale, allora retta dal notaio Giuseppe Resinelli, ma si dimise dopo tre mesi quando in città si diffusero voci insistenti di irregolarità (a testimoniarci che certe consuetudini sono sempiterne): in seguito uscirono articoli polemici, Balicco venne denunciato per diffamazione per poi tornare in consiglio comunale nel 1882 e cinque anni dopo diventare anche assessore all’anagrafe.
Scrive Tocchetti: «Cosciente delle gravi responsabilità che incombono su chi amministra la pubblica cosa, fu saggio e avveduto. Brillò per il suo illuminato consiglio e per l’acume col quale egli trattò indecise questioni, tanto più apprezzato in quanto molte ne risolse che parevano allora inconciliabili con ogni possibilità di successo».
C’è, poi, il capitolo della Guardia nazionale, organismi locali per la sicurezza. Nel 1863, Balicco era aiutante maggiore dell’allora comandante Bartolomeo Spini, un altro dei protagonisti della vita politica dell’Ottocento lecchese, per diventare egli stesso comandante: quell’anno, il battaglione lecchese ricevette lodi particolari dal prefetto di Como. Ricorda il nostro biografo: «Narrano i vecchi (che di Lorenzo Balicco conservano ancora viva la memoria e di sui parlano ancor oggi con compiaciuto fervore come d’un gentiluomo che racchiudeva in sé rare virtù: la generosità dei forti e l’assennatezza dei saggi, la fierezza dell’uomo d’arme e la fiorita gentilezza del cavaliere antico), che appena egli seppe della lode aperta del governatore una lacrima gli brillò fonda negli occhi mentre un diffuso rossore gli avvampava il viso». Propugnò l’istituzione di un tiro al bersaglio che sarebbe poi sorto nel 1882 su iniziativa del Club alpino italiano.
Verso il 1879 costruì la villa che, con qualche modifica, esiste ancora oggi e lì visse gli ultimi anni della vita, spegnendosi il 17 gennaio 1894.
«Una moltitudine di popolo – ci informa ancora Pino Tocchetti – e un più gran compianto lo accompagnarono alla dimora estrema in un pomeriggio invernale dolce e mite come un preludio di primavera. Passò tra due grandi ali di folla reverente. (…) Breve com’egli lo volle, fu il rito estremo al cimitero. Poi, la sua salma venne tumulata nella Cappella Centrale del cimitero monumentale di Lecco dove ancora riposa, accanto al poeta Antonio Ghislanzoni».





Per una curiosa coincidenza, una delle immagini iconiche del “Vascello” distrutto porta la firma di un probabile lecchese, Stefano Lecchi. Lo ritiene lecchese Luigi Erba (in un articolo del 1993 su “Museo vivo”, la rivista degli Amici dei musei lecchesi), secondo altre fonti sarebbe milanese con molte incertezze sulla data di nascita ma anche su quella di morte, mentre il Dizionario biografico della Treccani ci dice solamente che è nato nel 1804 «in un centro lombardo minore tra Milano e Lecco» e morto tra il 1859 e il 1863 probabilmente a Roma dove ormai si era trasferito. E comunque quelle scattate nel corso della tra repubblicani e francesi «sono oggi da considerare le prime fotografie in assoluto di un evento bellico».


L’attività imprenditoriale non gli fece trascurare l’impegno politico e sociale. Fu tra i promotori della prima Società di mutuo soccorso a Lecco: «Il caso volle – scrive Tocchetti – che una domenica d’aprile dell’anno 1862 egli s’incontrasse con un gruppo di operai nel cortiletto breve d’un vecchio ritrovo di Belledo» e «lanciò la sua idea a lungo nutrita. La sua facile dialettica, la sua logica convincente e serrata ebbero il loro effetto straordinario, l’adesione sboccò spontanea e totalitaria». In breve tempo vennero raccolte trecento adesioni e il 6 luglio si svolse la prima adunanza della società alla cui presidenza venne eletto l’industriale Giuseppe Badoni con Balicco vice.

Nel contempo si spese per la promozione di scuole serali, assieme ad altri personaggi lecchesi pressoché dimenticati (Luigi Vicini e Pasquale Carretto), aderendo alla Società nazionale per l’istruzione popolare che andava prendendo forma in Italia proprio in quegli anni: «Elevare gli umili e soccorrerli, difenderli e proteggerli: questa fu la sua bandiera che egli agitò sempre, alta nel sole. Ed è in questa nobiltà di ideali la ragione vera e profondamente umana che lo aveva fatto promotore, con Giuseppe Badoni, altra anima generosa al pari di lui, di due istituzioni che, più di ogni altra, “valessero a migliorare le condizioni economica, morale e anche fisica di chi dal lavoro ritrae i mezzi di vita a sé e alle proprie famiglia”, l’attuazione cioè di una Cooperativa di consumazione e d’una Banca popolare di prestito sul modello delle Banche del popolo create in Germania». Quelli erano i tempi, ne abbiamo parlato anche a proposito del meratese Viganò.
Nel 1880, Balicco entrò anche a far parte dell’amministrazione comunale, allora retta dal notaio Giuseppe Resinelli, ma si dimise dopo tre mesi quando in città si diffusero voci insistenti di irregolarità (a testimoniarci che certe consuetudini sono sempiterne): in seguito uscirono articoli polemici, Balicco venne denunciato per diffamazione per poi tornare in consiglio comunale nel 1882 e cinque anni dopo diventare anche assessore all’anagrafe.

Villa Balico negli anni Trenta
C’è, poi, il capitolo della Guardia nazionale, organismi locali per la sicurezza. Nel 1863, Balicco era aiutante maggiore dell’allora comandante Bartolomeo Spini, un altro dei protagonisti della vita politica dell’Ottocento lecchese, per diventare egli stesso comandante: quell’anno, il battaglione lecchese ricevette lodi particolari dal prefetto di Como. Ricorda il nostro biografo: «Narrano i vecchi (che di Lorenzo Balicco conservano ancora viva la memoria e di sui parlano ancor oggi con compiaciuto fervore come d’un gentiluomo che racchiudeva in sé rare virtù: la generosità dei forti e l’assennatezza dei saggi, la fierezza dell’uomo d’arme e la fiorita gentilezza del cavaliere antico), che appena egli seppe della lode aperta del governatore una lacrima gli brillò fonda negli occhi mentre un diffuso rossore gli avvampava il viso». Propugnò l’istituzione di un tiro al bersaglio che sarebbe poi sorto nel 1882 su iniziativa del Club alpino italiano.
Verso il 1879 costruì la villa che, con qualche modifica, esiste ancora oggi e lì visse gli ultimi anni della vita, spegnendosi il 17 gennaio 1894.

Dario Cercek