Olginate: 'siamo fatti per andare in alto, come piaceva a Carlo'. In tanti all'addio a Ravasio

La montagna che tanto ha amato, quella stessa montagna che, inaspettatamente, se l'è portato via nel corso di quella che avrebbe dovuto essere solo una delle tante uscite estive, è stata, inevitabilmente, “protagonista” anche dell'addio a Carlo Ravasio, il pensionato olginatese mancato l'altro giorno durante un'ascesa al Pizzo Coca, in Alta Valle Seriana. 
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La parrocchiale del paese, questa mattina, si è riempita di parenti e amici, appartenenti anche ai diversi gruppi escursionistici del territorio, che si sono stretti alla moglie Giulia e ai fratelli del 75enne, ancora attoniti per una dipartita così improvvisa. “Era uscito di casa come faceva spesso, con il pensiero, la voglia, la consapevolezza di volerci tornare. Ma non è stato così. La notizia della sua morte ha lasciato tutti increduli perché Carlo, si sa, si dice, era un camminatore esperto, ma era anche prudente. Certamente non se l'è cercata” ha sottolineato nelle prime battute della sua omelia don Andrea Mellera, con le qualità di Ravasio, quale escursionista, rimarcate poi, nel suo ricordo, anche da Diego Redaelli.
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Il presidente del GEFO, realtà di cui “Carluccio” era storico socio, ha descritto l'amico come un compagno ideale, forte, preparato, esperto e sicuro nell'andare in montagna ma, soprattutto, ha aggiunto rivolgendosi direttamente al 75enne, “eri una persona dolce, riservata, sempre disponibile, mai ti ho visto arrabbiato o cimentato in discussioni (…).  Più leggera era la fatica con la tua presenza e soprattutto la tua esperienza messa a disposizione di tutti. Non ti pesava mai rimanere un passo indietro e aiutare chi ti stava avanti o dare fiducia in un passaggio difficile (…). Ti conoscevano come “Carluccio”, ma grande era la tua forza, la tua passione e il tuo amore per la montagna. Grande è anche il ricordo che lasci nella tua cara Giulia e in tutti noi. Ma ti assicuro che il ricordo del tuo sorriso e della tua presenza discreta saranno sempre nel nostro cuore e mi piace pensare che il tuo ultimo gesto sia stato come un abbraccio e poi un saluto a quella roccia che sempre desideravi incontrare”.
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Resta, ha asserito il vicario parrocchiale nel cercare di dare conforto ai presenti, una domanda aperta: “perché?”. Lo stesso quesito, del resto, posto direttamente a Gesù anche da Marta e Maria, alla morte del fratello Lazzaro, come da passo del Vangelo scelto dal sacerdote per la funzione odierna. “Anche Gesù non ha dato una risposta o meglio non ha dato quella che tutti si attendevano, una spiegazione, un motivo. Ma quello che Gesù ha risposto ci colpisce, in qualche modo ci provoca e ci coinvolge. Perché Gesù ha detto che occorre credere che c'è una vita che non finisce...”.
“Nulla ci potrà mai separare” per mutuare le parole di San Paolo ai Romani, proposte nelle Letture. “Siamo fatti per andare in alto, come piaceva Carlo” ha rimarcato don Andrea, citando la prossima canonizzazione di Piergiorgio Frassati che ha fatto di “verso l'Alto” il proprio motto.
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“Chiediamo al Signore di portarci ancora su, in alto, e chiediamo a Carlo di accompagnarci in questo cammino, noi che a volte siamo felici di essere semplicemente per terra a guardare in basso. Signore aiutaci a portaci su, in alto, per guardare tutto in modo diverso, con uno sguardo nuovo. Chiediamo quest'oggi al Signore di essere per noi una guida sicura. E tu Carlo, sostieni e accompagna,  come ai sempre fatto, con prudenza, il cammino anche continua per i tuoi cari” ha dunque proseguito il celebrante, chiedendo altresì a Ravasio “di lasciare qui il suo zaino, lo zaino delle sue fragilità, delle sue debolezze per poter andare, lassù, liberò, in quel rifugio che lo attende, che lo accoglie, il rifugio che è il cuore di Dio al quale tutti siamo chiamati, al quale siamo indirizzati. E allora il Signore doni la pace, la consolazione, la sua presenza, la sua vicinanza. E quelle montagne che Carlo ha sempre amato, ha sempre desiderato, raggiunto, possano essere le montagne che descrivono la nostra vita e ancora ci  fanno sentire la gioia, la bellezza, la grazia di una vita che non finisce, che continua sempre”.
E la chiosa della preghiera letta a fine celebrazione potrebbe essere interpretata come l'ultima volontà di Carlo, arrivato alla cima più bella, la casa di Dio: “mentre la luce muore accoglie o Signore la mia preghiera, concedi un sereno riposo al mio cuore che ha sete di altezze e infinito”.
A.M.
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