SCAFFALE LECCHESE/270: Giuseppe Pessina, l’umile fotografo lecchese che documentò un secolo

Il 29 agosto 1925 – dunque un secolo fa tondo tondo – veniva inaugurata la Croce sulla vetta del Resegone. Di quell’evento, l’immagine maggiormente ricordata è il disegno di Achille Beltrame comparso qualche giorno dopo sulla “Domenica del Corriere”, nel quale veniva raffigurato l’arcivescovo di Milano, il cardinale Eugenio Tosi, avviarsi alla vetta assiso su una portantina condotta da nerboruti escursionisti della Sel. Ma una fotografia documenta anche come il cardinale avesse dovuto arrampicarsi con fatica su per gli ultimi bricchi, un po’ tirato su per le braccia e un po’ sospinto. 
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E’ la fotografia che scattò Giuseppe Pessina, il fotografo nato nel 1879 a Lecco dove visse per oltre trent’anni e restando legato alla città e al suo territorio anche quando si era ormai trasferito a Cusano Milanino dove sarebbe morto ultranovantenne nel 1973.
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Pessina è stata una figura riscoperta dai lecchesi negli anni a cavallo tra Novecento e Duemila, quando i musei sono andati riorganizzando i propri archivi creando un settore fotografico vero e proprio. E tra le collezioni più significative vi è proprio il Fondo Pessina costituito da lastre, negativi, stampe, provenienti da fonti diverse: la vecchia Azienda di turismo, l’Ente lecchese manifestazioni e il “Gruppo 66”,  «circolo fotografico milanese – scrive la già conservatrice dei musei cittadini Barbara Cattaneo sulla rivista “Archivi di Lecco” (giugno 2016) – che, a partire dal 1965, dà vita ad un rinnovamento della fotografia milanese ed italiana, realizzando una poetica estremamente realista, basata sul vissuto quotidiano delle periferie milanesi. (…) Pessina, la cui fotografia aveva anticipato i tempi, in quanto lontana da ogni intento celebrativo e da sempre attenta a fatti, avvenimenti e persone, diviene socio onorario del Gruppo 66. Alla sua morte, nel 1973, lascia l’archivio della sua lunga ed instancabile attività di fotografo proprio a questi suoi ultimi compagni di viaggio».
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E nel 1999, i musei lecchesi allestirono una mostra della quale ci rimane un catalogo curato dalla stessa Barbara Cattaneo: “Segni, storie, fotografie tra Lecco e Milano. Giuseppe Pessina e il Gruppo 66” (editore Leonardo Arte).
Nel catalogo, è il fotografo Luigi Erba a presentarci Pessina e la sua collezione lecchese: «Quando Giuseppe Pessina cominciò a fotografare aveva sedici anni. Era nato a Lecco nel 1879 dove rimase fino al 1913 per trasferirsi poi a Bormio. Fu un periodo di “sedimentazione”. (…) Il materiale, che consta di oltre trecento lastre, può essere diviso in tre momenti: un primo risalente agli ultimi anni dell’Ottocento e al primo decennio del secolo successivo, è il più eterogeneo in quanto riguarda paesaggi, vedute della città, manifestazioni alpinistiche, eventi di cronaca; un secondo, successivo al periodo di Bormio e alla prima guerra mondiale, datato dal suo trasferimento a Cusano Milanino (1921) sino agli anni quaranta, è prevalentemente legato a manifestazioni alpinistiche ai Piani Resinelli e al Resegone; un terzo di diapositive e lastre diascopiche riguarda un raduno escursionistico ai Piani Resinelli e le celebrazioni manzoniane. Sostanzialmente quindi Pessina non abbandonò i contatti con la città, soprattutto durante il primo conflitto mondiale. La figlia, Beatrice, per esempio, nacque nel 1918 a Lecco dove la madre, Caterina Invernizzi, da Bormio era stata portata a partorire.».
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Si è parlato di prima guerra mondiale. Per Pessina fu un momento significativo: «All’inizio delle ostilità – scrive il fotografo Daniele Re in un intervento sulla rivista “Archivi di Lecco” (dicembre 2018) – Pessina, che viveva a Bormio, partì da volontario per il fronte come Ufficiale di Complemento nel corpo del Genio zappatori. Portò con sé sette macchine fotografiche, pur non rivestendo l’incarico ufficiale di fotografo. La risposta patriottica ed entusiasta alla guerra corrispondeva al suo desiderio di essere presente alla “storia” e di fotografarla da vicino» riuscendo a «percorrere il fronte in vari punti» evitando la censura. Nel contempo pubblicava un “Diario di guerra di un escursionista” sul bollettino della Sel, la Società escursionisti lecchesi, quella del rifugio e della croce sulla vetta del Resegone. Nel diario – ci racconta ancora Re - «fuse la vita quotidiana al fronte con visioni particolari del paesaggio, delle luci e dei suoni, secondo un sentire vicino al Futurismo. Tali scritti mostrano un buon livello culturale e la consapevolezza di vivere un momento storico significativo. (…) Nel maggio 1915, Pessina si trovava sullo Stelvio con gli alpini, dei quali fotografò le marce. Nell’agosto del 1916 passò dal Cevedale per giungere al Tonale.». E poi Asiago, l’Ortigara, Gorizia, la ritirata di Caporetto, Palmanova, il Tagliamento…. «Pessina – continua Re – riuscì sempre ad attrezzare una piccola camera oscura di fortuna, come annotò lui stesso in una scatola di lastre, “in trincea sotto la tenda”, per sviluppare e stampare le proprie fotografie».
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Ci informa Federica Mapelli su un numero speciale di “Archivi di Lecco” dedicato alla prima guerra mondiale: «Tremila furono i vetrini da lui prodotti tra il 1915 e il 1917, di cui purtroppo la maggior parte andò distrutta a causa dello scoppio di una bomba nei pressi di Caporetto. (…) Giuseppe Pessina decise di scattare fotografie che mostravano la realtà della guerra, vista con gli occhi di stava combattendo in prima e seconda linea. Le sue immagini sono ricche di forte realismo, soprattutto quando immortala scene di vita quotidiana all’interno degli accampamenti. Pessina, però, aggiungeva sempre un messaggio di speranza che traspariva da piccoli particolari all’interno dello scatto, mai insignificanti o casuali. (…) Egli mostrò come, in momenti di assoluta disperazione, ogni soldato avesse bisogno di staccare il pensiero dal campo di battaglia e di rilassarsi.»
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«Ancora dopo la guerra – scrive Erba nel catalogo del 1999 – questa umanità si mette in movimento: è l’immagine della marcia ciclistica Torino-Roma nel 1921 (…) una delle icone che segnano il tempo. Qui Pessina sembra esprimere proprio l’ansia del nuovo secolo: porta in sé delle certezze, ma inconsciamente anche delle illusioni a cui l’umanità nel nostro secolo andrà incontro. (…) Non è mai condizionato dall’impianto ideologico, proprio perché l’immagine esprime un valore assoluto. (…) La sua è una vicenda-azione quasi metalinguistica che sintetizza l’emozione, il progetto, la capacità di cogliere l’accadimento senza però congelarlo nella cronaca del reportage».
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Quando a Milano, cominciava a muoversi il “Gruppo 66”, Pessina si avvicinava ai novant’anni ed era «in cerca di un sicuro asilo per il suo archivio di lastre – ci dice Cesare Colombo nello stesso Catalogo – che vorrebbe valorizzato da interlocutori competenti, da uomini di immagini. Negli incontri al Bar Sant’Orsola presente le sue foto più dinamiche: la Grigna, il viaggio dei cicloturisti, la Grande Guerra, Roma, Napoli… Più di mezzo secolo dopo i suoi scatti, Pessina identifica il proprio linguaggio con quello dei più giovani amici milanesi. “Il mio lavoro non è distante dal vostro, posso lasciarvi le immagini, i negativi che meglio descrivono il mio temperamento creativo. Altre foto Pessina le lascerà ai familiari, a enti lecchesi, a vecchi concittadini d Bormio…».
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Una biografia esauriente del fotografo lecchese è proprio quella già citata di Daniele Re (“Archivi di Lecco” del dicembre 2018). Partendo dagli esordi: «Giuseppe Pessina nacque a Lecco nel 1879 a Lecco da Carlo Pessina di Casate Vecchio, mandamento di Missaglia, e Claudia Milani di Acquate. Giuseppe frequentò le scuole tecniche e lavrò nella Drogheria Vassena, dove convinse il proprietario a proporre articoli fotografici, contribuendo a diffondere l’attività dello sviluppo e della stampa nel territorio.
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Pessina iniziò a fotografare nel 1895 indirizzandosi verso un realismo reportagistico e documentario, interessandosi agli aspetti tra i meno appariscenti, ma comunque significativi della vita cittadina. (…) La peculiarità di Pessina fu di rivolgere l’obiettivo non più ai monumentali e fascinosi scenari lariani o alla rassicurante e precostituita narrazione della vita borghese ma verso la città di Lecco. Tra le su prime fotografie ci sono le regate nautiche svoltesi nel bacino di Lecco. Egli testimoniava gli eventi e le calamità sperimentando una lettura analitica del paesaggio e delle attività sociali. (…) Era in sintonia con il nuovo sguardo proposto dai giornali illustrati»
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Re si sofferma a lungo anche sulle fotografie scattate da Pessina alle Esposizioni universali, documentando nel 1906 l’incendio che distrusse il padiglione dell’Arte decorativa italiana e ungherese. Si tratta del famoso incendio in cui andò perso anche il modellino del duomo di Milano realizzato dall’intagliatore lecchese Mattarelli, giudicato all’epoca un’autentica meraviglia.
Dario Cercek
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