Il manicomio di Como a Lecco: in mostra i volti di 'Donne cancellate'
Il Prefetto, invitato a rivolgere un saluto ai presenti, alla sua prima inaugurazione di una mostra in città, ha elogiato l'iniziativa quale sprone a “considerare la persona nella sua unicità” citando Carlo Acutis ed il suo “tutti nasciamo originali, molti moriamo fotocopie”. 
Maria Andreotti ha invece chiuso il suo intervento in nome del Forum salute mentale di Lecco, con il “motto” di Vittorio Arrigoni: “restiamo umani o – ha aggiunto di iniziativa l'ex insegnante - riprendiamo a esserlo, perché qualche volta il dubbio viene...”.
Nel mezzo a due frasi spendibili in tanti contesti e apparentemente distanti, il senso della mostra fotografica presentata ieri a Palazzo delle Paure: "Donne Cancellate" propone una serie di pannelli con scatti di Gin Angri tratti dall'archivio dell'ex ospedale psichiatrico di Como, trasferito in un magazzino di Lodi, dopo la chiusura del manicomio avvenuta grazie alla riforma Basaglia.
Insieme a estratti delle cartelle cliniche, i volti di pazienti transitate per il San Martino tra il 1882 e il 1948, tutte accomunate dallo stesso destino: la morte tra quelle mura, come chiarito da Andreotti, descrivendo le protagoniste dell'esposizione come donne spesso povere, segnate dal dolore e dalla fatica, finite in manicomio per i casi della vita. Alle volte perfino perché troppo disinibite. O perché depresse. Non mancano le anziane, come pure (orrore nell'orrore) i bambini, ma in mostra ci sono per lo più “volti di donne giovani, segnati da infinita tristezza e malinconia ma anche di donne dagli occhi vivaci e intelligenti”. 
L'iniziativa, ha detto ancora la rappresentante del Forum, vuole dunque essere “un modo per sottrarle all'oblio, per dire loro che non sono vissute invano; che qualcuno si è fermato a leggere le loro lettere mai spedite; che non erano solo corpi da curare ma anche un'anima, con sentimenti, dolori, non dissimili dai nostri. Mentre stiamo assistendo alla messa in discussione della salute come diritto universale e alla distruzione della sanità pubblica, mi sono chiesta se oggi ci sono donne cancellate. Mi sono risposta che nella misura in cui dividiamo il mondo tra noi e loro, chi soffre nell'anima o viene da lontano, rischia di diventarlo” la chiosa, con il grazie, ancora una volta, a Franco Basaglia, “per aver liberato il dolore e la diversità dalle catene dell'abbandono”, per “aver lavorato per creare speranza”, per “aver aperto una strada” che sta a noi continuare a percorre.
Ed il tema della migrazione, sfiorato da Maria Andreotti, è stato toccato anche dallo stesso Gin Angri, seduto al tavolo dei relatori accanto a Lucia Battaglia, presidente dell'associazione I fiori di oltre il giardino, curatrice della mostra. L'autore delle foto, ha ricordato come il San Martino sia stato uno degli ospedali psichiatrici più grandi della Lombardia, riferimento per diversi territori inclusa parte di quella che oggi è la Provincia di Lecco, raggiungendo il momento di “maggior afflusso” tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, in coincidenza con il periodo dei grandi spostamenti dal Meridione verso Nord. “Fatto – la sua chiosa – che fa venire pelle d'oca paragonato alle migrazione odierne”.
Hanno ricordato il “manicomio” di Como e le analoghe strutture della regione, il direttore socio sanitario dell'ASST di Lecco Gianluca Peschi (con i direttori di Neuropsichiatria e Psichiatria ad ascoltarlo, essendo il Dipartimento parte della rete degli organizzatori della mostra) sia l'ex direttore generale dell'allora Azienda Ospedaliera Ambrogio Bertoglio.
Il primo, erbese, ha detto di ricordare gli ospiti del San Martino attaccati alla recinzione della struttura, ribadendo come oggi, eliminate le recinzioni fisiche, sia necessario abbattere anche i muri che ancora circondano le questioni legate alla salute mentale.
Lo stigma, direbbero gli psichiatri come Bertoglio, intervenuto per parlare della sua storia di medico che, laureato nel '73, ha vissuto dapprima la stagione del Serenase, degli antidepressivi e poco più quale unica cura, per poi contribuire alla nascita degli ambulatori territoriali (la Bovisa, il suo primo quartiere di riferimento) e all'apertura degli ex ospedali psichiatrici, dopo aver iniziato a lavorare nell'81 in quello di Varese, anni prima diventato riferimento per l'elettroshock e la lobotomia. Citata altresì la sua esperienza a Merate, ribadendo come ancora oggi sia necessario un atteggiamento proattivo dei sanitari, quell'andare dove vivono i pazienti per fronteggiare le situazioni “in famiglia”, prevenendo così l'acuzie e dunque l'ospedalizzazione.
A fare gli onori di casa, al fianco di Barbara Cattaneo che ha ricordato come Palazzo delle Paure stia ospitando anche la mostra su Antonio Ligabue e gli outsider, completamento di fatto di “Donne Cancellate”, il vicesindaco e assessore alla Cultura Simona Piazza, che ha tratteggiato la cornice della proposta.
L'esposizione è inserita infatti nella rassegna “La Cultura per il Sociale”, portata avanti dall'amministrazione da sette anni, in un costante arricchimento grazie anche alle sinergie con il Forum Salute Mentale e l'ASST. In tale contesto, il rimando a “considerare le persone persone” e dunque “a lavorare per inclusione vera, dove ognuno possa essere partecipe alla vita sua e della comunità secondo le proprie possibilità”.
La mostra, a ingresso libero, resterà allestita fino al 14 ottobre e è visitabile martedì dalle 10 alle 14 e da mercoledì a domenica dalle 10 alle 18.

Il Prefetto Paolo Ponta
Maria Andreotti ha invece chiuso il suo intervento in nome del Forum salute mentale di Lecco, con il “motto” di Vittorio Arrigoni: “restiamo umani o – ha aggiunto di iniziativa l'ex insegnante - riprendiamo a esserlo, perché qualche volta il dubbio viene...”.
Nel mezzo a due frasi spendibili in tanti contesti e apparentemente distanti, il senso della mostra fotografica presentata ieri a Palazzo delle Paure: "Donne Cancellate" propone una serie di pannelli con scatti di Gin Angri tratti dall'archivio dell'ex ospedale psichiatrico di Como, trasferito in un magazzino di Lodi, dopo la chiusura del manicomio avvenuta grazie alla riforma Basaglia.


Lucia Battaglia e Maria Andreotti
L'iniziativa, ha detto ancora la rappresentante del Forum, vuole dunque essere “un modo per sottrarle all'oblio, per dire loro che non sono vissute invano; che qualcuno si è fermato a leggere le loro lettere mai spedite; che non erano solo corpi da curare ma anche un'anima, con sentimenti, dolori, non dissimili dai nostri. Mentre stiamo assistendo alla messa in discussione della salute come diritto universale e alla distruzione della sanità pubblica, mi sono chiesta se oggi ci sono donne cancellate. Mi sono risposta che nella misura in cui dividiamo il mondo tra noi e loro, chi soffre nell'anima o viene da lontano, rischia di diventarlo” la chiosa, con il grazie, ancora una volta, a Franco Basaglia, “per aver liberato il dolore e la diversità dalle catene dell'abbandono”, per “aver lavorato per creare speranza”, per “aver aperto una strada” che sta a noi continuare a percorre.

Gin Andri
Ed il tema della migrazione, sfiorato da Maria Andreotti, è stato toccato anche dallo stesso Gin Angri, seduto al tavolo dei relatori accanto a Lucia Battaglia, presidente dell'associazione I fiori di oltre il giardino, curatrice della mostra. L'autore delle foto, ha ricordato come il San Martino sia stato uno degli ospedali psichiatrici più grandi della Lombardia, riferimento per diversi territori inclusa parte di quella che oggi è la Provincia di Lecco, raggiungendo il momento di “maggior afflusso” tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, in coincidenza con il periodo dei grandi spostamenti dal Meridione verso Nord. “Fatto – la sua chiosa – che fa venire pelle d'oca paragonato alle migrazione odierne”.


Gianluca Peschi
Il primo, erbese, ha detto di ricordare gli ospiti del San Martino attaccati alla recinzione della struttura, ribadendo come oggi, eliminate le recinzioni fisiche, sia necessario abbattere anche i muri che ancora circondano le questioni legate alla salute mentale.

Ambrogio Bertoglio
Lo stigma, direbbero gli psichiatri come Bertoglio, intervenuto per parlare della sua storia di medico che, laureato nel '73, ha vissuto dapprima la stagione del Serenase, degli antidepressivi e poco più quale unica cura, per poi contribuire alla nascita degli ambulatori territoriali (la Bovisa, il suo primo quartiere di riferimento) e all'apertura degli ex ospedali psichiatrici, dopo aver iniziato a lavorare nell'81 in quello di Varese, anni prima diventato riferimento per l'elettroshock e la lobotomia. Citata altresì la sua esperienza a Merate, ribadendo come ancora oggi sia necessario un atteggiamento proattivo dei sanitari, quell'andare dove vivono i pazienti per fronteggiare le situazioni “in famiglia”, prevenendo così l'acuzie e dunque l'ospedalizzazione.

Simona Piazza e Barbara Cattaneo
A fare gli onori di casa, al fianco di Barbara Cattaneo che ha ricordato come Palazzo delle Paure stia ospitando anche la mostra su Antonio Ligabue e gli outsider, completamento di fatto di “Donne Cancellate”, il vicesindaco e assessore alla Cultura Simona Piazza, che ha tratteggiato la cornice della proposta.

A.M.