Lecco: ''Lariosauro e signora'' ospiti della biblioteca
Aggiornamento sulla storia del Lariosauro, il rettile vissuto 250 milioni di anni fa e che bazzicava le nostre acque – allora marine e non lacustri – e il cui fossile venne scoperto nell’Ottocento nelle cave di marmo nero tra Varenna e Perledo e ormai entrato a far parte della “mitologia” lariana. La “notizia” è che il Lariosauro era viviparo e non oviparo. E cioè la femmina non deponeva le uova ma portava “in grembo” i nascituri. Così ci ragguaglia Giancarlo Colombo, che si può dire abbia consacrato la popria vite alle ricerche sul Lariosauro.

Per passione, certo, anche se le scienze non gli erano estranee, avendo gestito per trent’anni i laboratori scientifici dell’istituto “Parini” di Lecco. Per passione vuol dire per diletto, ma sull’argomento lariosauro, Colombo non può certo essere annoverato tra i dilettanti. Anzi.
Dopo tre altre pubblicazione dedicato al rettile preistorico, ha ora dato alle stampe con la varennese Associazione Scanagatta – presso la quale ha sempre trovato un importante sostegno – un nuovo libro: “Lariosauro e signora”, dedicato appunto ad aggiornare lo stato della ricerca: il ritrovamento di nuovi fossili che hanno consentito di riconoscere i maschi dalle femmine e appunto la conclusione che fosse viviparo.

Il libro è stato presentato ieri sera alla biblioteca civica “Pozzoli” di Lecco. Dopo il saluto della direttrice della biblioteca Simona Sanna e della presidente dell’associazione Scanagatta, Cecilia Stoppani, Colombo ha raccontato del lariosauro. Partendo dall’articolo apparso sul “Politecnico” di Carlo Cattaneo in cui si parlava del ritrovamento del fossile di Perledo. Ma prendendola poi, naturalmente, alla lontana, andando indietri di… qualche anno, cioè fino al triassico medio e cioè tra i 242 e 237 milioni di anni fa. Milioni! E’ in quel periodo che è vissuto il lariosauro, un rettile acquatico predatore.

A condurre Colombo a riconoscere le differenze tra maschio e femmina sono state le clavicole. Più sviluppate in alcuni casi, meno in altri. L’uno era maschio e l’altro era femmina: si è soliti pensare che il corpo maschile sia più robusto di quello femminile e pertanto le clavicole più sviluppate dovrebbero essere quelle maschili. E invece no: perché la femmina potrebbe avere le clavicole più sviluppate per la necessità di issarsi dall’acqua alla terraferma per deporre le uova. Se il lariosauro fosse oviparo.

Un fossile ritrovato sul Monte San Giorgio tra Varese e la Svizzera aveva fatto propendere per questa eventualità: la posizione di un piccolo lariosauro allo stato quasi embrionale faceva presupporre che attorno dovesse esserci stato il guscio di un uovo che il tempo non poteva conservare.

Sono poi arrivati i cinesi con i loro ritrovamenti: lariosauri femmine con le clavicole più piccole, ma soprattutto con resti di embrione. E resti di embrione nel corpo aveva anche lo straordinario fossile ritrovato ancora sul monte San Giorgio che addirittura conservava resti della pelle. Un evento impensabile.
E così si è arrivati appunto alla conclusione che il lariosauro fosse viviparo.

Da parte sua, Colombo gongola anche per via delle dita. Quando si era messo a studiare il lariosauro, ormai anni orsono, aveva provato a disegnarne la forma, con tanto di dita alle zampe. Le altre ricerche, però, si consolidavano attorno a un lariosauro con le zampe adatte al nuoto e quindi senza dite.

«E io – ha detto Colombo – mi sono adeguato.» E senza dita, infatti, sono i modellini che ha realizzato. Ma gli ultimi ritrovamenti sembrano dire che invece il lariosauro avesse delle vere e proprie dita. Insomma, Colombo ci aveva visto giusto. Una bella soddisfazione per il ricercatore lecchese che, a proposito di dita, nel corso della serata ha mostrato altri ritrovamenti effettuati nel marmo nero di Varenna, come conchiglie o il fossile di un pesce: «Che un giorno donerò al museo di Lecco, quando sarò morto» ha detto, facendo tanto di corna con le dita della mano.
Giancarlo Colombo
Per passione, certo, anche se le scienze non gli erano estranee, avendo gestito per trent’anni i laboratori scientifici dell’istituto “Parini” di Lecco. Per passione vuol dire per diletto, ma sull’argomento lariosauro, Colombo non può certo essere annoverato tra i dilettanti. Anzi.
Il libro è stato presentato ieri sera alla biblioteca civica “Pozzoli” di Lecco. Dopo il saluto della direttrice della biblioteca Simona Sanna e della presidente dell’associazione Scanagatta, Cecilia Stoppani, Colombo ha raccontato del lariosauro. Partendo dall’articolo apparso sul “Politecnico” di Carlo Cattaneo in cui si parlava del ritrovamento del fossile di Perledo. Ma prendendola poi, naturalmente, alla lontana, andando indietri di… qualche anno, cioè fino al triassico medio e cioè tra i 242 e 237 milioni di anni fa. Milioni! E’ in quel periodo che è vissuto il lariosauro, un rettile acquatico predatore.
Simona Sanna
A condurre Colombo a riconoscere le differenze tra maschio e femmina sono state le clavicole. Più sviluppate in alcuni casi, meno in altri. L’uno era maschio e l’altro era femmina: si è soliti pensare che il corpo maschile sia più robusto di quello femminile e pertanto le clavicole più sviluppate dovrebbero essere quelle maschili. E invece no: perché la femmina potrebbe avere le clavicole più sviluppate per la necessità di issarsi dall’acqua alla terraferma per deporre le uova. Se il lariosauro fosse oviparo.
Un fossile ritrovato sul Monte San Giorgio tra Varese e la Svizzera aveva fatto propendere per questa eventualità: la posizione di un piccolo lariosauro allo stato quasi embrionale faceva presupporre che attorno dovesse esserci stato il guscio di un uovo che il tempo non poteva conservare.
Sono poi arrivati i cinesi con i loro ritrovamenti: lariosauri femmine con le clavicole più piccole, ma soprattutto con resti di embrione. E resti di embrione nel corpo aveva anche lo straordinario fossile ritrovato ancora sul monte San Giorgio che addirittura conservava resti della pelle. Un evento impensabile.
E così si è arrivati appunto alla conclusione che il lariosauro fosse viviparo.
Da parte sua, Colombo gongola anche per via delle dita. Quando si era messo a studiare il lariosauro, ormai anni orsono, aveva provato a disegnarne la forma, con tanto di dita alle zampe. Le altre ricerche, però, si consolidavano attorno a un lariosauro con le zampe adatte al nuoto e quindi senza dite.
«E io – ha detto Colombo – mi sono adeguato.» E senza dita, infatti, sono i modellini che ha realizzato. Ma gli ultimi ritrovamenti sembrano dire che invece il lariosauro avesse delle vere e proprie dita. Insomma, Colombo ci aveva visto giusto. Una bella soddisfazione per il ricercatore lecchese che, a proposito di dita, nel corso della serata ha mostrato altri ritrovamenti effettuati nel marmo nero di Varenna, come conchiglie o il fossile di un pesce: «Che un giorno donerò al museo di Lecco, quando sarò morto» ha detto, facendo tanto di corna con le dita della mano.
D.C.