Racconti da Casa Alber/1: la testimonianza d'amore di Carlo, uno dei 121 figli

Entra nel vivo oggi su queste colonne il percorso in sei tappe dedicato all'esperienza "profetica" di Casa Alber, fortemente voluto da Maurizio Volpi per accompagnare alla prima presentazione del suo libro sulla straordinaria storia della comunità familiare creata a Olginate da Albertina Negri e Silvio Barbieri, che si terrà martedì 9 dicembre alle 20.45 al teatro Jolly (in fondo la locandina).
La puntata di questo sabato 8 novembre, dopo quella introduttiva di una settimana fa, propone l'emozionante testimonianza di Carlo, uno dei 121 figli ormai adulti di Casa Alber, contenuta proprio nel volume fresco di stampa. Eccola di seguito.

Mi chiamo Carlo e sono nato nel luglio del 1959. Dopo 5 giorni dalla mia nascita, i Servizi Sociali, a seguito di una disposizione del Tribunale per i Minorenni di Milano, mi hanno trasferito all’Istituto Provinciale di Protezione ed Assistenza dell’Infanzia di Viale Piceno a Milano. In questo Istituto sono rimasto per i primi 6 mesi di vita; dopodiché mi hanno trasferito al Preventorio Infantile di Cannobio sul Lago Maggiore, dove ho vissuto fino al 6 giugno 1962. Quel giorno è iniziata la mia vita a “CASA ALBER”.
Qui c’erano i coniugi Silvio e Albertina, i loro due figli, Marco e Paolo, ed altri bambini dati loro in affidamento temporaneo. Nel mio caso, la temporaneità è durata sino al giugno del 1970 quando sono stato affidato, per quasi quattro anni, ad una coppia che abitava a Milano. Trascorso il periodo di affidamento preadottivo, questa coppia mi ha adottato facendomi diventare, in tal modo, figlio loro a tutti gli effetti di legge.
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È importante considerare che negli istituti e negli orfanotrofi presso i quali erano ospitati bambini abbandonati o con situazioni familiari personali difficili, mancava completamente il senso della famiglia. Nessuno di loro si sentiva nello stato d’animo di poter chiamare o considerare, come Papà o Mamma, i responsabili delle varie strutture nelle quali vivevano. Non solo, non riuscivano a considerare come Fratelli o Sorelle i vari bambini e le varie bambine che convivevano con loro. Loro, erano semplicemente “Gli Altri”. Invece “Casa Alber” era la “Casa della Mamma Albertina”, era una “Casa Famiglia”.
Io sono stato tra i primissimi a entrare a Casa Alber e ci sono rimasto per 8 anni. In questa Casa ho vissuto, in un clima di grandissima serenità, quello che credo sia il periodo più importante della vita di un essere umano: l’infanzia. Il rapporto con Silvio, Albertina, Marco, Paolo e gli altri bambini, è sempre stato tale da sentire come se, tutti insieme, fossimo realmente una famiglia. Con tutti i bambini si studiava e si giocava insieme. Si bisticciava e, a volte, ci si dava anche le botte proprio come fanno i fratelli fra loro. Per me, erano i miei fratelli e questo, nonostante, man mano che crescevo, avessi capito che, con tutti loro, non avevo alcun rapporto di parentela. Non m’importava nulla, io li sentivo così perché lì mi sentivo a “CASA”. Silvio ed Albertina non hanno mai preteso nulla di impossibile da noi: ci hanno “solo” insegnato ad avere il massimo rispetto verso il prossimo, a collaborare tutti insieme in casa, ad aiutarci l’un l’altro in caso di necessità.
(…) Tornati da scuola, si pranzava tutti insieme e, dopo pranzo, Silvio ed Albertina si alternavano, al nostro fianco, per farci fare i compiti. A volte, si arrabbiavano perché non tutti i bambini, compreso il sottoscritto, avevano voglia di studiare oppure si distraevano. Una volta terminati i nostri doveri di studenti, potevamo giocare: o nella stessa sala dove si studiava oppure all’aperto, nel cortile che circondava la casa. A metà pomeriggio facevamo merenda e, subito dopo, ci sedevamo in sala da pranzo per guardare la “TV dei ragazzi”. Dopo avere cenato, guardavamo il Carosello e poi andavamo in sala giochi ancora per una mezz’oretta, dopodiché ci preparavamo per andare a dormire. Prima di spegnere la luce, Silvio o Albertina ci facevano inginocchiare, ognuno ai piedi del proprio letto, per dire le preghiere e poi passavano a rimboccarci le coperte e a darci la carezza o il bacio della buona notte. Quel rimboccarci le coperte e quella carezza o quel bacio costituiscono un dono grandissimo che noi bambini abbiamo ricevuto da loro e che io mi porterò sempre nel più profondo del mio cuore.
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(…) Un ricordo particolarmente vivo nella mia mente è legato al periodo natalizio durante il quale noi bambini partecipavamo ai preparativi degli addobbi e davamo una mano a fare il presepe che veniva messo in un angolo della grande sala giochi. Io ero fortemente colpito dai colori dei festoni e delle immagini che venivano appiccicate sui vetri delle finestre; ma quello che creava in me la più grande gioia era il presepe con tutti i suoi personaggi e le luci che lo rendevano vivo. Io restavo fermo per tanto tempo a guardarlo incantato, colpito da tutto quello che esso rappresentava. A volte, avevo l’impressione di essere parte integrante anch’io di quel mondo. La cosa che più mi piaceva era quando, la sera, spegnevamo tutte le luci della sala per restare a guardare il presepe illuminato. Era un’emozione grandissima che ancora oggi riesco a provare.
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La sera del 24 dicembre, dopo cena, salivamo tutti quanti al primo piano ed entravamo nella grande sala dove c’era un pianoforte al quale Silvio o Marco si sedevano per suonare le canzoni di Natale. Noi bambini iniziavamo a cantare, stringendoci attorno a loro: quando finiva la nostra stonatura generale, andavamo a dormire, sperando che la notte passasse velocemente. L’indomani mattina era un susseguirsi di emozioni. Se ricordo bene, verso le 7, Silvio ed Albertina ci venivano a svegliare per farci andare a lavare, per prepararci con i vestiti della festa e per fare colazione. Qui, per tutti noi, c’era la prima gradita sorpresa: un panettoncino Motta che mangiavamo velocemente perché avevamo voglia di correre nella sala giochi e scoprire quali regali ci erano stati portati da Babbo Natale. La sala era chiusa a chiave dalla sera prima perché si voleva evitare che qualcuno, furbescamente, entrasse a curiosare. Arrivati alla porta della sala, aspettavamo che Silvio ed Albertina la aprissero e, uno alla volta, venivamo chiamati per ricevere i nostri regali. Tutto questo era un rito che si ripeteva ogni anno, un’emozione unica, continua.
Quello che personalmente ho sempre vissuto e sentito nel rapporto con Silvio ed Albertina è che tutto ciò che loro facevano o dicevano, veniva fatto o detto a fin di bene. Non c’è mai stato alcun tipo di violenza fisica o psicologica. C’è stato solamente l’amore che un genitore prova nei confronti dei propri figli. Ci hanno fatti crescere tenendoci per mano, ci hanno sostenuti, incoraggiati a non mollare mai. Silvio ed Albertina hanno sempre trattato tutti i bambini e ragazzi che hanno vissuto in quella casa, come se fossero loro figli. Albertina, con la sua presenza, è sempre stata il fulcro della Casa Famiglia, il perno centrale attorno al quale ruotava tutto. Era lei che mandava avanti la casa e che, insieme a Silvio, seguiva anche la parte burocratica riguardante i bambini che venivano loro affidati. Con tutti noi, è sempre stata attenta e pronta ad intervenire per aiutarci nel caso ne avessimo bisogno.
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Il piccolo Carlo con Silvio nel giorno della sua Prima Comunione

Albertina e Silvio ci sono stati vicini quando eravamo a Casa Alber e, insieme, hanno continuato a seguirci ed a preoccuparsi per noi anche dopo che eravamo venuti via, anche quando, per alcuni di noi, una volta adottati, ci sono state difficoltà di inserimento nel nuovo nucleo familiare. Molti di noi, anche dopo aver trovato una propria sistemazione ed essersi creati una loro famiglia, hanno mantenuto con loro un contatto costante proprio grazie a quel legame che è nato allora e che, ancora oggi, è più vivo che mai. Ci hanno seguiti fino a quando sono rimasti in vita e noi abbiamo sempre sentito il loro amore. Ecco perché, quel legame, è profondamente radicato nei nostri cuori.
Gli anni vissuti a Casa ALBER costituiscono una parte importante della mia vita, non sono stati un sogno ma una splendida realtà. Ho avuto la fortuna di incontrare e crescere con Silvio ed Albertina, due “ANIME" che si sono incarnate e che mi hanno donato “AMORE” in maniera incondizionata e, per questo motivo, non posso fare altro che dire loro: “GRAZIE PER AVERMI AMATO”.
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