SCAFFALE LECCHESE/285: nel catalogo di Borlenghi in posa tutti i bellanesi

Primi piani o figure intere. Ritratti singoli, in coppia, con il cane o con il gatto, famiglie intere e magari cugini e zii. Eppoi i bambini, a volte impacciati e a volte spontanei, talaltra con ghigni da teppa e quelli più piccini con certi occhioni che da soli fan poesia. Le mamme e i papà, i nonni: chi magari passato prima dal parrucchiere e chi invece messosi davanti all’obiettivo arruffato com’era. Le belle ragazze, I bandisti e i gruppi di amici, gli amministratori pubblici, il sindaco e l’ex sindaco. Fiori, abiti eleganti o “casual” o “trendy”. Pose che si ripetono. Qualche sguardo addirittura torvo e qualcuno stupito, quasi imbarazzato. Ma anche sorrisi belli distesi: a trentadue denti, come suol dirsi. Nomi che ritornano: Vitali tanti, naturalmente. E Denti. Tanti anche i Rusconi. E poi Vergottini, Rigamonti. Ma alla lettera “V” ci vanno anche i Vigili urbani e i Vigili del fuoco. Tutto un mondo. E cioè un paese, “il” paese. Che, a suo modo, è appunto un universo-mondo. E una magia così, probabilmente, non poteva che accadere lì, a Bellano. Dove già il pittore Giancarlo Vitali aveva quasi creato una galleria di personaggi. E lo scrittore Andrea Vitali quei personaggi (inventati ma non troppo) li ha raccontati e ancora li racconta in storie esilaranti.
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In quest’altra magia c’è proprio lo zampino dello scrittore Andrea, oltre a un sottinteso omaggio al pittore Giancarlo. E uno sguardo in più, quello del fotografo Carlo Borlenghi, uno dei maestri mondiali della fotografia di vela che, dopo anni sulle onde oceaniche, per via del covid era tornato a volgere l’obiettivo verso il proprio paese. Cosa si fa, cosa non si fa, scrittore e fotografo si sono messi in testa un progetto da pazzi e cioè catalogare tutti gli abitanti del paese: 3500. Se non li hanno presi per matti e se i diretti interessati sono stati al gioco, è perché, appunto, si era a Bellano. E a Bellano certe cose semplicemente accadono.
Di quel progetto, realizzato nel 2022, ci è rimasto un catalogo che è un librone di quasi 500 pagine: “Il ritratto di Bellano. La fotografia di un paese del lago di Como”, edito da “Cinquesensi Editore”.
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Nell’introduzione, il sindaco Antonio Rusconi racconta lo sviluppo del progetto «frutto dell’intuizione di due amici», appunto Andrea Vitali e Carlo Borlenghi: «Tra marzo e agosto 2022, il fotografo ha allestito un set in piazza Santa Marta, mentre lo scrittore si è prodigato a “buttare dentro” i bellanesi e a stilare liste di persone da rintracciare perché accettassero l’invito a far parte di questo grande affresco che negli esiti pare ammiccare, o addirittura bussare alla porta del guinness dei primati: un libro suddiviso in capitoli alfabetici, ordine tanto categorico quanto imparziale, introdotti da testi brevi, spesso aforismi, di Andrea Vitali e dove i volti sono abbinati alle famiglie che qui hanno messo radice nel passato fino ai nostri giorni».
Le cronache ci dicono che Borlenghi abbia raccolto circa 8mila ritratti, tra i quali ne sono stati scelti 1500 da pubblicare sul libro.»

Galleria fotografica (16 immagini)


Il volume sarebbe appunto uscito alla fine di quel 2022, mentre in paese andava allestendosi una mostra diffusa: molti di quei ritratti, in formato manifesto, sono stati esposti per le vie del paese, sulle pareti del municipio, alle finestre delle case, nelle vetrine. Così – s’era detto – il paese si rispecchiava in sé stesso.
Prefatore del libro è l’artista bellanese Velasco Vitali che si richiama a Franco Arminio, che si porta addosso la definizione di “paesologo” e cioè cantore di una civiltà perduta, quella dei piccoli paesi che soprattutto al Sud, ma anche sulle nostre montagne, sono andati e vanno spopolandosi e quindi a decadere fin quasi a scomparire. 
Bellano, all’apparenza, non sembra correre rischi di scomparsa. Qualche frazione sulle pendici montane sì, ormai è ridotta a vecchie case disabitate. Ma il borgo sul lago è florido e da qualche anno gode di una straordinaria vitalità. Per via anche dei Vitali. E dunque, parola azzeccata.
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Carlo Borlenghi

Però, Velasco parte da lì, dal “paese”. E si chiede «perché, ancora oggi, qualcuno continua a scegliere di vivere nei paesi? Le 1.500 (millecinquecento) foto di Carlo Borlenghi sono un’efficace risposta a questo non semplice quesito che aleggia come un fantasma sui borghi della Penisola e fa apparire Bellano come una miracolata sacca di resistenza e fortuna. Carlo, con il suo reportage di sguardi, non ha inteso dare risposte, sarebbe stato presumere troppo: ha piuttosto allestito uno studio, oltre che essersi lui stesso mosso come un ambulante dello scatto “a domicilio”, per raggiungere anche chi, limitato dalle proprie forze, ha voluto comunque rispondere all’appello per “esserci”, per rimanere silenziosamente con la propria presenza il fine del progetto, quello di vivere in un tempo presente, essere una testimonianza. Qui e ora. Chi si è seduto davanti all’obiettivo, per fermare sé stesso nel 2022, ha inteso dire con i propri occhi che questo mondo è esistito, esiste ed esisterà.»
Fra molti anni – prosegue Velasco - «tutti coloro che hanno posato (…) potranno constatare che la natura umana ha un’anima ancora più grande quando è condivisa, che la vita comunitaria si attiva quando è partecipativa. La condizione è metterci la faccia, comprovata certezza che esistiamo. Il 2022 per Bellano è l’anno zero. Nulla è stato prima e nulla sarà dopo. (…) Una lunghissima carrellata d’immagini che si affacciano da muri e vetri del paese, come una lunga sequenza di un film in bianco e nero anni ’40, un diorama che viaggia spedito verso lo spazio siderale del futuro.»
E in effetti che penserà un nipote o un pronipote, un topo di biblioteca, che fra cento e duecento anni, in un mondo che chissà mai come sarà avendo ormai anche la fantascienza esaurito le sue possibilità, che penserà dunque nel ritrovarsi a sfogliare questo catalogo? A volte, oggi, ci immalinconisce riandare a certi ritratti d’epoca in cui cerchiamo di raccogliere il senso di una vita. In queste pagine c’è tutto un paese che allora si potrà solo immaginare. Da parte sua, Velasco cita lo scrittore portoghese Josè Saramago: «Ho passato la vita a guardare negli occhi della gente, è l’unico luogo del corpo dove, forse, esiste ancora un’anima.»
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E appunto in futuro, fra cinquanta o cent’anni, che poi chissà come saranno questa terra e i suoi abitanti e dove saranno finite molte delle mostre cose d’oggi, qualcuno si potrà anche chiedere perché mai un giorno tutto un paese si sia messo in fila a farsi ritrarre. Considerando, oltretutto, come la nostra fosse già un’era digitale con tanto di “riconoscimenti facciali”. E dunque come mai un catalogo di carta? Vien da immaginarci ricercatori pervicaci nel risolvere il mistero. Confidando di trovare una risposta negli aforismi di Andrea Vitali che scandiscono il procedere alfabetico del catalogo. Come questo: «Spolpo per bene le ossa di ciò che ascolto poi ricompongo il tutto in una scatola. Lo chiamerà, Gioco per un bambino ignaro. Mi piace, suona bene.» Si penserà dunque sia stato una sorta di gioco, una cerimonia collettiva. E vuoi vedere che, in fondo, un gioco lo sia stato davvero senza che ce ne accorgessimo. In fondo, il poeta vede sempre un po’ più là e un po’ più dentro le nostre anime. Proprio come il personaggio di Saramago.
Del resto, se c’è da confondere le idee, per l’Andrea Vitali sembra quasi un invito a nozze: «Usciremo in tarda mattinata, e con l’ombrello, insieme: un solo ombrello. Ma niente sottobraccio. D’accordo, sì, va bene, un solo ombrello e niente sottobraccio, un solo ombrello, se mai ricorderemo il giorno, il viaggio, il treno su cui l’abbiamo abbandonato.»
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A sinistra Andrea Vitali

Aforismi che, come le fotografie, racchiudono stati d’animo, suggeriscono riflessioni, considerazioni, pensieri anche quelli banali di una quotidianità silenziosa, anche quelli balzani per via di certe disarmonie che qualcuno dei personaggi questa “galleria” può ben aver fatto in un momento della propria vita. Una notte, una mattina, le notti e i giorni che a uno a uno sono sofferenza o gioia e messi in fila fanno tutta una vita. E allora «narrami, o musa, dell’insidia che si cela nella velocità e nell’amicizia. Noi, ingenui come un’unghia d’infante, l’incosciente sorriso di fronte all’avviso “Vendesi” di vite già saldate. Ma narrami ancora, si vuole così nell’etero immortale.» Oppure: «Seduti su un gradino della gioventù chi passa ci sorride. Poi se vogliamo con uno scatto siamo di nuovo in piedi. Così però i sorrisi diventano saluti, tocca rispondere, come se avessimo salito scale.» E allora «canticchio sulle ali di un ricordo che non c’è ancora. Non ho fretta di vivere, lo aspetto, arriverà.»
Che sono, queste parole, ciò che ci dicono quei primi piani, le figure intere, le famiglie, i gruppi d’amici, immortalati da Borlenghi e che sono «i ritratti di chi a Bellano vive – ci viene detto in quarta di copertina – ma anche di chi ci lavora, di chi ne ha fatto il proprio luogo elettivo o di chi Bellanese aspira ad essere.»
Dario Cercek
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