Racconti da Casa Alber/2: la testimonianza di Albertina e Silvio a San Siro, con la 'preghiera dei genitori'

Prosegue oggi, su queste colonne, il cammino "all'interno" di Casa Alber, in vista della serata di presentazione del libro di Maurizio Volpi dedicato proprio all'esperienza "profetica" di Albertina Negri e Silvio Barbieri. Una storia straordinaria, nel senso etimologico del termine, che tra tanti momenti di vita quotidiana include anche alcuni episodi assolutamente eccezionali. 
Come quello risalente al 15 maggio 1993, quando i due coniugi olginatesi furono protagonisti allo Stadio San Siro di Milano in occasione della grande manifestazione pubblica a conclusione del Convegno regionale sul tema "Nascere e morire oggi. Le Chiese di Lombardia per una nuova cultura della vita umana", su invito del Cardinal Carlo Maria Martini che scrisse così a Silvio: "Anche per espresso desiderio degli altri miei Confratelli nell'episcopato, desidero, perciò, invitarla ad essere con noi a Milano in quel pomeriggio di sabato 15 maggio: volentieri ascolteremo la sua parola e ci lasceremo interrogare dalla sua testimonianza".
I due olginatesi accettarono con piacere, parlando davanti a novantamila persone: il loro intervento arrivò subito dopo quello di una figura passata alla storia, di fama internazionale, quale Madre Teresa di Calcutta.
Di seguito il testo completo, contenuto nel volume di Volpi.

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Nascere e vivere in stato di abbandono è sofferenza indicibile.

Lo dice uno dei nostri ragazzi, in un tema svolto in classe nel 1966: “Io non ho genitori di sangue; essi se ancora vivono, non sanno nulla di me, né io so nulla di loro. Ho trascorso, per questo, dieci anni da un orfanotrofio all’altro. Ricordo ancora quei giorni amari quando mi sorprendevo ad invidiare i miei compagni che ricevevano visite dei loro genitori e amici: visite e regali, mentre io non avevo nessuno che pensasse a me, che mi sollevasse dallo sconforto che mi aveva preso. Ma un giorno, sembra una favola, due coniugi, che mai prima di allora avevo visto, cominciarono ad interessarsi a me...”.

Avere una madre e un padre, oppure valide figure sostitutive, è un diritto che non può essere vissuto come una favola o affidato alla buona sorte. Il minore ha diritto alla famiglia, ha diritto alla tutela dei suoi bisogni affettivi, all’indispensabile per crescere e vivere, al maturante inserimento nei rapporti sociali.
L’idea di dar vita ad una piccola comunità familiare, a servizio di minori in difficoltà, la concretizzammo nel 1961, sorretti dalla paterna sollecitudine del compianto e non dimenticato mons. Aldo Mauri, assistente diocesano della Giac ambrosiana, prevosto di Sesto San Giovanni, vicario episcopale. Nell’arco di venticinque anni (l’esperienza si è conclusa nel 1986) sono 121 i ragazzi che si sono avvicendati nella nostra casa.
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Molti hanno formato la propria famiglia; il più grande ha, oggi, quarantadue anni. E se alcuni hanno raggiunto posizioni prestigiose in ambito professionale ed altri, i più, sono operai o impiegati ben sistemati, il nostro pensiero affettuoso va innanzitutto a chi - ottenuta la licenza elementare all’età di quasi quattordici anni - è da lungo tempo in attività lavorativa all’estero. Le sue lettere evidenziano che egli, è vero, non rispetta tuttora le concordanze verbali, ma è altrettanto vero che, nella vita, sa rispettare la concordanza dell’essere con l’agire: “Sono contento, egli scrive, perché posso dire a tutti che con la fede in Dio e la buona volontà si può fare molto e stare in pace”.

Ogni ragazzo è quello, e non un altro, con i suoi problemi, le sue sofferenze, le sue aspirazioni, le sue manifestazioni di affetto e di intolleranza, il suo desiderio prepotente e ambivalente di autonomia e di protezione.
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Quanti i momenti difficili! Mario, militante di “Prima Linea”, nel 1983 ci scriveva dal carcere per confermarci il suo affetto e darci un giudizio critico delle sue scelte: “La verità è che io, come altri giovani, abbiamo cercato di risolvere delle contraddizioni in modo altrettanto contraddittorio, senza venire a capo di nulla. Spero che i vostri ragazzi crescano sani e forti dentro e non debbano perdersi in questo mondo bello e terribile allo stesso tempo”. Il ricordo di Mario s’intreccia con i sentimenti di viva gratitudine che rinnoviamo al nostro vescovo, il Card. Carlo Maria Martini, il quale, accogliendo il nostro invito, si recò a visitare Mario nel suo “piccolo San Vittore” - la casa dove si trovava agli arresti domiciliari - per portargli la parola della speranza che non delude. Oggi, Mario è rinato alla vita.
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E noi, mentre affidiamo al Signore le luci e le ombre degli anni centrali della nostra vita, continuiamo a pregare così: "Aiutaci, o Signore, ad essere genitori per tutta la vita ed oltre. Dacci la dedizione del Buon Pastore, la comprensione del Buon Samaritano, la forza del perdono che il Padre, in attesa, ci ha insegnato; dacci la capacità di scoprire i “perché” nascosti che spiegano le parole, i gesti, la vita dei nostri figli. Fa’, o Signore, che, educando i figli, educhiamo anche noi stessi al coraggio della lealtà, della bontà, della pace, nell’accettazione degli altri, nella fedeltà al precetto dell’amore. Così oggi, domani, sempre”.

Su Avvenire del 2 febbraio 1995, nella rubrica MATTUTINO il Cardinale Gianfranco Ravasi, riprendendo la preghiera conclusiva della testimonianza dei coniugi Barbieri, la presenta come la “preghiera dei genitori” aggiungendo che “le parole sono così piane, sincere, trasparenti da rendere superfluo il commento. Come per tutte le verità semplici, è necessario che esse cantino nel cuore di chi le ascolta”.

La preghiera, così bella e importante, è poi diventata la quarta di copertina del libro di Maurizio Volpi.
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