Olginate: emozioni alla serata su Casa Alber, con Maurizio Volpi e le testimonianze di tre 'figli'
Alla fine le speranze non sono state disattese. Il Teatro Jolly di Olginate si è davvero riempito di amore e gratitudine, con la presenza di circa trecento persone, per la serata dedicata all'esperienza "profetica" di Casa Alber, che oltre a coincidere con il debutto pubblico del libro di Maurizio Volpi – del quale su queste colonne abbiamo parlato a lungo nelle ultime settimane, tramite un percorso in sei tappe – è stata soprattutto un'occasione per condividere emozioni, ricordi e aneddoti di una storia straordinaria, nel senso letterale del termine, per quanto resa apparentemente normalissima dai suoi due incredibili artefici.


Ovvero Albertina Negri e Silvio Barbieri, i due coniugi che dal 5 dicembre 1961 al 30 giugno 1986 hanno dato vita a Olginate a una piccola grande comunità familiare capace di accogliere ben 121 minori in difficoltà, offrendo loro una "seconda occasione" e la possibilità di una vita "normale".



Come Enrico, Paolo e Rubens, che hanno voluto intervenire personalmente al Jolly per raccontare tramite la loro viva voce ciò che hanno vissuto sulla propria pelle, grazie a due persone come tante "che hanno incarnato il Vangelo nella maniera più autentica, rendendosi protagoniste di una storia unica, che oggi risulta irripetibile".

Parole, queste ultime, del sindaco di Olginate Marco Passoni, invitato sul palco a inizio serata per un saluto introduttivo insieme a Italo Bruseghini, "storico" primo cittadino e attuale presidente del Fondo di Comunità, realtà che ha contribuito alla realizzazione del libro di Volpi con la speranza, ora, "che non rimanga un lavoro fine a se stesso, ma che anzi possa diventare uno spunto di riflessione per tanti e magari entrare anche nelle scuole".


"Albertina e Silvio sono stati profeti di speranza, veri testimoni di fede: non a caso si è detto che i diritti di Casa Alber appartengono a Dio", ha invece esordito l'autore del libro, visibilmente emozionato, ricordando come la "spinta" a trasporre su carta l'esperienza dei coniugi Barbieri, già al centro della sua Tesi di Laurea nel 2000, sia nata in lui lo scorso 18 gennaio, durante il funerale di Silvio, con la certezza che fosse necessario darle visibilità e fare memoria, nonostante – o forse proprio per questo motivo – i due artefici non avessero mai voluto mettersi in mostra, agendo nel silenzio.

"So che questo percorso ha anche riaperto molte ferite", ha poi rivelato Volpi con gli occhi lucidi, condividendo dunque una serie di sentiti ringraziamenti a tutti coloro che, con testimonianze orali e scritte, ma anche con aneddoti e ricordi, hanno offerto un contributo più o meno significativo alla stesura del volume.

Tra di loro, ovviamente, anche l'editor Federica Frattini, che ha spiegato come il testo è stato concepito e strutturato: dopo la prima parte dedicata alle storie personali di Albertina e Silvio (prima di Casa Alber, con le scelte che l'hanno anticipata, e dopo, negli ultimi anni di vita della coppia), il libro si concentra sugli esordi di quella pionieristica comunità familiare che – è stato precisato a più riprese – non è mai stata solo un'"isola", bensì è sempre stata perfettamente integrata nel contesto locale, con regole chiare per i bambini e i ragazzi che venivano accompagnati, con pazienza e amore, nel loro cammino verso l'acquisizione di un'autonomia e di un senso di responsabilità.
Il volume, poi, affronta importanti tematiche legate al mondo dell'educazione, alla scuola e alla relazione con le famiglie dei piccoli ospiti, grazie al lascito di un uomo e una donna "che non erano pedagogisti, ma artigiani dell'educazione capaci di dare forma al loro lavoro con testa, mani e cuore, mettendo sempre al centro il minore e la difesa della sua dignità di persona".

"Per questo definire Albertina e Silvio "eroi" o "santi" è quasi riduttivo, perché rischia di allontanarli da noi e dal nostro vissuto posizionandoli in una sorta di "teca" intangibile: i Barbieri, piuttosto, sono stati viandanti che hanno esplorato strade mai battute prima, persone vere e concrete che non volevano salvare il mondo ma lasciarlo un po' migliore, che non volevano denunciare un problema ma farsene carico, almeno in parte. E questo aspetto coinvolge tutti noi, perché ci indica una via da seguire", ha sottolineato Frattini.

Insomma, innanzitutto due "semplici" genitori. Di Paolo e Marco, i loro figli naturali, e poi di altri 121 ragazzi, alcuni rimasti con loro per poche settimane o mesi, altri per anni, fino al matrimonio.

Tutti, però, accomunati da una cosa, ovvero dal riconoscere nel loro cammino di vita un "prima" e un "dopo" Casa Alber, come ha confidato Enrico ("Gino" nel libro) ammettendo di avere un "debito eterno" nei confronti di Albertina e Silvio, che lo hanno portato a Olginate quando era ancora un bambino dopo un'infanzia caratterizzata da molteplici trasferimenti da un istituto all'altro: "Sono passato dall'avere una "sorveglianza" a un'accoglienza affettuosa, una cura quotidiana e non estemporanea, scoprendo inoltre il mondo esterno. Io non finirò mai di ringraziarli".

Commovente anche il racconto di Paolo, entrato a Casa Alber nonostante, quando aveva appena due anni, il Tribunale dei Minori lo avesse bollato come un bambino "difficile" per via di "turbe del carattere". "Oggi sono sposato, ho due figli meravigliosi e due nipoti, sono laureato in Geologia e ricopro il ruolo di amministratore delegato di una società. Che cosa sarebbe successo se Albertina e Silvio si fossero fermati a quel giudizio del Tribunale? Non lo so e non lo voglio sapere. A me importa solo ciò che è stato grazie a loro", ha detto, ricordando poi con un sorriso alcuni momenti di vita quotidiana a Casa Alber: "Un argomento costante di discussione era il calcio: noi ragazzi amavamo anche giocare all'aperto, in quel campo che era stato asfaltato per farci sporcare di meno. Silvio era milanista, ma a dire il vero non è riuscito a portare molti di noi dalla sua parte di tifo".

"Oggi Silvio riderebbe a vedermi qui, ma per l'orgoglio", gli ha fatto eco poi Rubens, a sua volta padre di quattro ragazzi, ricordando con enorme emozione come i Barbieri lo abbiano "tolto dalla strada, con semplicità e tenacia", regalandogli "tante istantanee meravigliose di quegli anni a Olginate".

A chiudere gli interventi – prima delle riflessioni di Mario Mozzanica e del pedagogista Mino Spreafico, oltre che del saluto finale del parroco di Olginate don Matteo Gignoli – sono stati infine Giampietro Mariani e Alberto Benini: il primo, già sacrestano in Parrocchia e "memoria storica" del paese, ha condiviso alcuni aneddoti della sua amicizia con Silvio che hanno fatto divertire i presenti, ma ha anche rimarcato con grande serietà la straordinaria fede che ha sempre sostenuto i due coniugi nel loro cammino. "Una volta gli ho chiesto: 'Ma chi ve lo fa fare?'. E il Barbieri, che girava sempre con breviario e rosario in mano, mi ha risposto: 'Hai letto il Vangelo? La fede muore senza le opere'. E poi, è emblematico il fatto che lui e la moglie usassero sempre i verbi al plurale: per loro non c'era mai solo l'Io, contava il Noi".

Benini, invece, ha voluto sottolineare in particolare l'attenzione di Silvio agli aspetti educativi e all'inserimento dei "suoi" ragazzi nel contesto scolastico locale: "Lo sentivo parlare tutti i giorni con mio papà (Aroldo, all'epoca consigliere comunale, ndr). Citava i bambini per nome, probabilmente alcune delle storie che io ho solo vagamente ascoltato tramite lui fanno parte del libro".

Libro, quello di Volpi, che può vantare la prefazione di Monsignor Angelo Bazzari e che, come detto, punta a eternare una storia di vita "sì profetica ma anche straordinariamente normale", colma di quell'amore incondizionato e disinteressato che solo i "veri" genitori sono in grado di donare ai loro figli, di sangue o meno.


La copertina del libro
Ovvero Albertina Negri e Silvio Barbieri, i due coniugi che dal 5 dicembre 1961 al 30 giugno 1986 hanno dato vita a Olginate a una piccola grande comunità familiare capace di accogliere ben 121 minori in difficoltà, offrendo loro una "seconda occasione" e la possibilità di una vita "normale".

Maurizio Volpi sul palco. Sotto, con Silvio e Albertina


Come Enrico, Paolo e Rubens, che hanno voluto intervenire personalmente al Jolly per raccontare tramite la loro viva voce ciò che hanno vissuto sulla propria pelle, grazie a due persone come tante "che hanno incarnato il Vangelo nella maniera più autentica, rendendosi protagoniste di una storia unica, che oggi risulta irripetibile".

Silvio e Albertina in una foto recente
Parole, queste ultime, del sindaco di Olginate Marco Passoni, invitato sul palco a inizio serata per un saluto introduttivo insieme a Italo Bruseghini, "storico" primo cittadino e attuale presidente del Fondo di Comunità, realtà che ha contribuito alla realizzazione del libro di Volpi con la speranza, ora, "che non rimanga un lavoro fine a se stesso, ma che anzi possa diventare uno spunto di riflessione per tanti e magari entrare anche nelle scuole".

Marco Passoni

Italo Bruseghini
"Albertina e Silvio sono stati profeti di speranza, veri testimoni di fede: non a caso si è detto che i diritti di Casa Alber appartengono a Dio", ha invece esordito l'autore del libro, visibilmente emozionato, ricordando come la "spinta" a trasporre su carta l'esperienza dei coniugi Barbieri, già al centro della sua Tesi di Laurea nel 2000, sia nata in lui lo scorso 18 gennaio, durante il funerale di Silvio, con la certezza che fosse necessario darle visibilità e fare memoria, nonostante – o forse proprio per questo motivo – i due artefici non avessero mai voluto mettersi in mostra, agendo nel silenzio.

"So che questo percorso ha anche riaperto molte ferite", ha poi rivelato Volpi con gli occhi lucidi, condividendo dunque una serie di sentiti ringraziamenti a tutti coloro che, con testimonianze orali e scritte, ma anche con aneddoti e ricordi, hanno offerto un contributo più o meno significativo alla stesura del volume.

Federica Frattini
Tra di loro, ovviamente, anche l'editor Federica Frattini, che ha spiegato come il testo è stato concepito e strutturato: dopo la prima parte dedicata alle storie personali di Albertina e Silvio (prima di Casa Alber, con le scelte che l'hanno anticipata, e dopo, negli ultimi anni di vita della coppia), il libro si concentra sugli esordi di quella pionieristica comunità familiare che – è stato precisato a più riprese – non è mai stata solo un'"isola", bensì è sempre stata perfettamente integrata nel contesto locale, con regole chiare per i bambini e i ragazzi che venivano accompagnati, con pazienza e amore, nel loro cammino verso l'acquisizione di un'autonomia e di un senso di responsabilità.


Al centro la moderatrice della serata, Katia Sala
"Per questo definire Albertina e Silvio "eroi" o "santi" è quasi riduttivo, perché rischia di allontanarli da noi e dal nostro vissuto posizionandoli in una sorta di "teca" intangibile: i Barbieri, piuttosto, sono stati viandanti che hanno esplorato strade mai battute prima, persone vere e concrete che non volevano salvare il mondo ma lasciarlo un po' migliore, che non volevano denunciare un problema ma farsene carico, almeno in parte. E questo aspetto coinvolge tutti noi, perché ci indica una via da seguire", ha sottolineato Frattini.

Insomma, innanzitutto due "semplici" genitori. Di Paolo e Marco, i loro figli naturali, e poi di altri 121 ragazzi, alcuni rimasti con loro per poche settimane o mesi, altri per anni, fino al matrimonio.

Enrico
Tutti, però, accomunati da una cosa, ovvero dal riconoscere nel loro cammino di vita un "prima" e un "dopo" Casa Alber, come ha confidato Enrico ("Gino" nel libro) ammettendo di avere un "debito eterno" nei confronti di Albertina e Silvio, che lo hanno portato a Olginate quando era ancora un bambino dopo un'infanzia caratterizzata da molteplici trasferimenti da un istituto all'altro: "Sono passato dall'avere una "sorveglianza" a un'accoglienza affettuosa, una cura quotidiana e non estemporanea, scoprendo inoltre il mondo esterno. Io non finirò mai di ringraziarli".

Paolo
Commovente anche il racconto di Paolo, entrato a Casa Alber nonostante, quando aveva appena due anni, il Tribunale dei Minori lo avesse bollato come un bambino "difficile" per via di "turbe del carattere". "Oggi sono sposato, ho due figli meravigliosi e due nipoti, sono laureato in Geologia e ricopro il ruolo di amministratore delegato di una società. Che cosa sarebbe successo se Albertina e Silvio si fossero fermati a quel giudizio del Tribunale? Non lo so e non lo voglio sapere. A me importa solo ciò che è stato grazie a loro", ha detto, ricordando poi con un sorriso alcuni momenti di vita quotidiana a Casa Alber: "Un argomento costante di discussione era il calcio: noi ragazzi amavamo anche giocare all'aperto, in quel campo che era stato asfaltato per farci sporcare di meno. Silvio era milanista, ma a dire il vero non è riuscito a portare molti di noi dalla sua parte di tifo".

Rubens
"Oggi Silvio riderebbe a vedermi qui, ma per l'orgoglio", gli ha fatto eco poi Rubens, a sua volta padre di quattro ragazzi, ricordando con enorme emozione come i Barbieri lo abbiano "tolto dalla strada, con semplicità e tenacia", regalandogli "tante istantanee meravigliose di quegli anni a Olginate".

Giampietro Mariani
A chiudere gli interventi – prima delle riflessioni di Mario Mozzanica e del pedagogista Mino Spreafico, oltre che del saluto finale del parroco di Olginate don Matteo Gignoli – sono stati infine Giampietro Mariani e Alberto Benini: il primo, già sacrestano in Parrocchia e "memoria storica" del paese, ha condiviso alcuni aneddoti della sua amicizia con Silvio che hanno fatto divertire i presenti, ma ha anche rimarcato con grande serietà la straordinaria fede che ha sempre sostenuto i due coniugi nel loro cammino. "Una volta gli ho chiesto: 'Ma chi ve lo fa fare?'. E il Barbieri, che girava sempre con breviario e rosario in mano, mi ha risposto: 'Hai letto il Vangelo? La fede muore senza le opere'. E poi, è emblematico il fatto che lui e la moglie usassero sempre i verbi al plurale: per loro non c'era mai solo l'Io, contava il Noi".

Alberto Benini
Benini, invece, ha voluto sottolineare in particolare l'attenzione di Silvio agli aspetti educativi e all'inserimento dei "suoi" ragazzi nel contesto scolastico locale: "Lo sentivo parlare tutti i giorni con mio papà (Aroldo, all'epoca consigliere comunale, ndr). Citava i bambini per nome, probabilmente alcune delle storie che io ho solo vagamente ascoltato tramite lui fanno parte del libro".

Libro, quello di Volpi, che può vantare la prefazione di Monsignor Angelo Bazzari e che, come detto, punta a eternare una storia di vita "sì profetica ma anche straordinariamente normale", colma di quell'amore incondizionato e disinteressato che solo i "veri" genitori sono in grado di donare ai loro figli, di sangue o meno.
B.P.














